Recentemente, ho seguito la vicenda di un’amica che si è vista costretta a chiedere aiuto alla rete per trovare una nuova famiglia a uno dei suoi cani [ne ha due, che chiamerò Kyra e Kamala in modo che a nessuno venga la tentazione di cercare di capire di chi si tratti] e questo mi ha spinto a riflettere sulle opportunità e sui rischi derivanti dalla decisione di allargare la famiglia introducendo un altro cane dopo il primo, sull’idea che ne avevo prima di adottare Kyra e su quella che ho maturato dopo il suo arrivo da noi.
Come sempre, il mio punto di vista è quello di un proprietario, che si pone le domande per curiosità e per senso di responsabilità, per cercare di fare la cosa giusta, senza invadere ambiti riservati alla competenza degli specialisti. In questo articolo, quindi, non parlerò né delle motivazioni psicologiche che spingono, in generale, le persone a desiderare una famiglia numerosa, moltiplicandone il numero di componenti siano essi figli, cani o gatti, né delle ragioni – ammesso che ce ne siano – per cui certi cani sono più inclini di altri a stare in gruppi numerosi. Ciò doverosamente premesso, poiché tutto è partito dalla storia della mia amica, ne farò di seguito una sintesi.
La mia amica, amante da sempre degli animali e dei cani in particolare, decide a un certo punto che dove ce ne sta uno possono starcene due. Storia, fin qui, uguale a tante altre. Purtroppo, però, l’epilogo di questa è tragico, perché dopo sei mesi di convivenza apparentemente pacifica, Kyra aggredisce Kamala, procurandogli gravi ferite e costringendo la mia amica a separarle. Nell’arco del successivo anno vengono consultati diversi educatori ma nessuno di loro riesce a risolvere una situazione che col tempo anziché migliorare, peggiora nonostante gli sforzi di tutta la famiglia. Le due – questa la conclusione unanime dei professionisti consultati – semplicemente non si sopportano. Se fossero vissute in un contesto naturale, sempre a dire di costoro, probabilmente una delle due se ne sarebbe andata da un pezzo, ma qui non è possibile: l’allontanamento, per avvenire, richiede la decisione dell’uomo.
Lo scopo di questo articolo non è giudicare la decisione della mia amica. Ci ha pensato già la rete ad allestire la gogna e, nella migliore tradizione di quest’ultima, l’ha fatto senza sapere nulla di lei e della sua situazione. Sicuramente c’è stato, per sua stessa ammissione, un errore iniziale di valutazione sulla compatibilità dei due cani e una serie di ulteriori errori nella gestione delle fasi iniziali della convivenza. Ora, se la situazione sia irrecuperabile come sostengono gli educatori consultati o ci siano ancora margini d’intervento, questo non lo so. Io spero che la situazione si risolva in qualche modo, se non con un miracolo con una separazione che procuri la minore sofferenza possibile a tutti quanti.
La sua storia, dicevo, mi ha fatto riflettere su quanto può essere difficile, per chi non possiede le competenze necessarie, gestire l’inserimento in famiglia di un altro cane. Ho maturato il convincimento che farsi assistere da un professionista sia la scelta migliore che si possa fare per prevenire i problemi. Esiste una figura specifica, quella del veterinario esperto in comportamento animale, che può offrire il sopporto necessario. In molti canili questa figura è presente e si occupa, insieme agli educatori, oltre che del recupero dei cani con problemi comportamentali, di valutare proprio queste cose. Il problema si pone maggiormente nei contesti meno istituzionali o deregolamentati, dove bisogna arrangiarsi da soli e dove spesso nascono i problemi maggiori. Ecco che a tale riguardo, mi sento in obbligo di rammentare a tutti che il principio per cui “sono solo cani” funziona finché non iniziano i problemi; a quel punto, magari non è troppo tardi ma è necessario moltiplicare gli sforzi per cercare un equilibrio in una situazione che poteva essere evitata con la consulenza di un professionista.
Mi rendo conto che è un costo, che tanti di fronte alla prospettiva di una parcella imprevista esitano; tuttavia, in base alle mie osservazioni, raramente quest’esitazione dipende da una reale questione economica; per molti, si tratta di un retaggio del passato, di una riluttanza legata alla percezione, ancora assai diffusa e radicata, del cane come di qualcosa che non dovrebbe necessitare di troppe spese oltre a quella del cibo e, al limite, del veterinario curante. Alle persone del secondo gruppo vorrei dire che quest’oggettivazione del cane, oltre che avvilente, è molto rischiosa. Un proprietario che pensa in quei termini, infatti, è un proprietario che non riconosce la propria responsabilità nel problema, magari per averne sottovalutate le manifestazioni prodromiche, ma la attribuisce interamente al cane, come se fosse lui ad avere qualcosa che non va, come un apparecchio difettoso che deve funzionare a prescindere dal contesto in cui viene inserito.
“E tu, allora?”
L’ho detto sin dai primi articoli sull’argomento che se avessi saputo prima tante cose, se avessi fatto prima lo sforzo di acquisire certe informazioni anziché rincorrerle dopo, forse avrei fatto scelte diverse a partire proprio dal contesto in cui è avvenuta l’adozione di Kyra. Sia chiaro: non rimpiangerò mai la scelta di averla presa con me e sarò grato per sempre al mio amico Mario di avermela regalata; tuttavia, con la consapevolezza di oggi mi rendo conto che la sua gestione dei cani – e delle cucciolate in particolare – era quantomeno migliorabile ed è stata probabilmente alla base di molti dei problemi di Kyra. Al di là di questo, la questione rileva sotto talmente tanti aspetti che meriterebbero un articolo a parte, che magari un giorno scriverò, ma in questa sede m’interessa sollevare la questione del binomio incompetenza/buona fede e dei danni che può comportare. Io posso volere tutto il bene del mondo ai miei cuccioli, ma se non so quello che faccio o lo faccio male, rischio di disseminare il territorio di possibili problemi.
Kyra era destinata a me, era scritto nel destino di entrambi, e le cose sono andate come dovevano andare. Con lei, sono più felice di quanto non sia mai stato in vita mia e, forse, lo stesso fatto che non sapessi tante cose era indispensabile affinché non finisse in un contesto familiare non adatto a lei ed entrasse nella mia vita per cambiarla, ma qui sconfiniamo in un ambito filosofico che ci porta lontano dallo scopo di questo articolo, ossia le motivazioni per cui, al di là di fattori rimediabili [spazi limitati, in primis], non intendo prendere con me un altro cane.
Dunque, perché non vuoi un altro cane?
Chi ha seguito la serie Why Rott? sa che il mio sogno, sin da bambino, era di possedere due cani. Non due qualsiasi, ovviamente. Due Rottweiler. Si trattava del desiderio di realizzare una rappresentazione, solidificatasi nel mio immaginario infantile, nella quale io occupavo il ruolo centrale, un’iconografia nella quale i cani erano attributi della mia proiezione identitaria. Il loro essere individui non aveva alcuna importanza, essi erano funzionali unicamente al completamento della rappresentazione. Quello che avevo messo in atto era, in pratica, una divinizzazione del sottoscritto: se Odino veniva ritratto con Geri e Freki, Oreste sarebbe stato ritratto con Caius e Brutus.

Suppongo, infatti, che prima dell’evoluzione morale che ha portato alla versione 2.0 di me stesso, la versione precedente avrebbe scelto nomi del genere, se non peggiori, per i suoi cani, perché a quei poveretti non bastava la sfiga di un proprietario come me, dovevano pure avere dei nomi di merda. Determinante, in tutto questo, al di là della mia insicurezza patologica, credo fosse l’influenza degli anni ’90 e di serie come Magnum PI. Ricordate il personaggio di Jonathan Higgins? Era il maggiordomo, custode della proprietà di Robin Masters, ruolo quest’ultimo per il quale si avvaleva della collaborazione dei Ragazzi, come li chiamava lui, Zeus e Apollo: due splendidi esemplari di Dobermann. Certe cose mettono radici profonde, nell’inconscio. Sradicarle è dura.
L’Universo, tuttavia, ha un modo tutto suo d’impartire le propri lezioni e, sebbene quando portai a casa Kyra avessi già da tempo rottamato quella versione di me stesso, per essere sicuro che non facessi sciocchezze non mi consegnò il cane dei miei sogni ma il cane di cui avevo bisogno. Quella povera anima, infatti, aveva paura anche dei fili d’erba che si muovevano troppo veloci e implorava da me affetto e protezione. Era come Cringer dei Masters of the Universe. Il resto lo avete letto qui, per cui non mi ripeterò, ci torneremo a tempo debito quando sarà il momento di dare spazio alle figure coinvolte in questo processo. Dirò solo che il suo percorso è stato anche il mio, che lo abbiamo fatto insieme.
Sempre parlando dell’Universo, dovete sapere che oltre a essere un insegnante severo ma giusto, ha un’ottima memoria e un bel giorno mi fece apparire sul feed di Facebook un post del canile comunale di Gorizia relativo a un meraviglioso rottweiler di tre anni, Thanos, che sembrava messo lì apposta per completare il mio quadretto di un tempo. L’Universo mi stava mettendo alla prova, faceva come quegli hacker che ti mandano le mail per vedere se ci clicchi sopra. Al di là del fatto che non c’erano [e non ci sono] le condizioni per accogliere nella nostra famiglia un altro cane – in primis per eventuali interferenze che la cosa potrebbe creare col percorso di Kyra – in una situazione diversa, nella quale fossero coinvolti diversi soggetti e ci fossero le condizioni, come ho già detto chiederei come subito una valutazione alla professionista che ci ha seguiti per Kyra e mi farei assistere, qualora la valutazione fosse positiva, da lei e dalla nostra educatrice nel percorso d’inserimento del nuovo cane.
Il tema, mi rendo conto, è complesso e anche delicato perché qualunque aggiunta al sistema famiglia comporta una ridistribuzione delle forze interne e, auspicabilmente, l’instaurarsi di un nuovo equilibrio. Purtroppo, come dimostra la situazione della mia amica, questo non avviene sempre. Le forze bilancianti della nuova equazione – tempo, impegno e fortuna – devono aumentare proporzionalmente ma con legge esponenziale. Nel mio caso, non credo che avrei tempo sufficiente; potrei al limite trovarlo facendo la cresta su quello che dedico agli altri membri della famiglia ma si tratterebbe di un compromesso tutto da valutare. Riguardo all’impegno, bisogna essere onesti con sé stessi e io non so se avrei le forze per occuparmi, oltre a tutto il resto, di due cani. E con questo ho concluso. Grazie per essere stati con me fino alla fine.
Un’ultima cosa, prima di lasciarci.
Il cane che mi piace si chiama Thanos, si trova al canile comunale di Gorizia. Magari fateci un salto, guardatelo negli occhi. È un gigante buono, un eroe che ha donato il suo sangue per cercare di aiutare un’altra ospite del canile [che purtroppo non ce l’ha fatta]. Fatevi accompagnare da qualcuno che sappia quello che fa, magari, ma dategli la possibilità che merita di avere una famiglia.



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