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Il blog di Oreste Patrone


Podgora

Chi mi segue sui social sa che trascorro molto tempo sul Calvario, con Kyra. È un luogo bello e poco frequentato – in un anno che ci vado praticamente ogni giorno avrò incontrato sì e no una decina di persone – ricco di storia e di fascino, eppure inspiegabilmente trascurato. Un’amica, tempo fa, mi chiese perché ci tornassi così spesso, cosa ci trovassi.

Il primo motivo è di natura sentimentale.
Sul Calvario, io e Kyra abbiamo iniziato a conoscerci e costruire il nostro rapporto. Ci eravamo rifugiati lì dopo le prime esperienze di passeggiata nel quartiere, quando iniziarono a emergere le insicurezze e le paure di Kyra. Speravo che un contesto isolato e soprattutto naturale come quello la aiutasse a rilassarsi e così è stato. Su quei sentieri abbiamo capito che insieme potevamo funzionare. Camminare nel bosco con lei mi fa stare bene, mi rilassa e mi ripulisce la mente, facendomi dimenticare tutto quello che non merita di essere ricordato della giornata. Seguirla nelle sue esplorazioni mi ha fatto riscoprire posti che avevo già scoperto grazie ai giri in bicicletta, sui quali tuttavia non mi ero mai soffermato abbastanza e dei quali non avevo mai approfondito la storia. L’ho fatto solo recentemente, scoprendo aneddoti e curiosità che ignoravo, che hanno arricchito la mia conoscenza del luogo e la mia esperienza di visitatore. 

Una cosa che non sapevo, per esempio, è che il Calvario non si è chiamato sempre così. Prima della Grande Guerra si chiamava infatti Podgora, letteralmente “sotto il monte”, dal nome dell’omonimo villaggio [Piedimonte] che fu Comune autonomo fino al 1927, quando venne accorpato alla città di Gorizia. Calvario era il nome con cui era noto il lato meridionale della collina, quello affacciato su Lucinico, per la presenza a quota 180 di tre croci commemorative della crocifissione di Cristo. Quelle oggi presenti sull’omonimo spiazzo, da cui si gode una splendida vista sulla città, sono quelle ricostruite dal Comune di Gorizia nel 1959 in sostituzione delle originali, andate distrutte durante il conflitto. 

Il Calvario era uno dei tre baluardi della città di Gorizia insieme al Sabotino e al San Michele. A quota 241, punto più alto della collina, raccordato alle Tre Croci da una stradina di cipressi, sorge l’obelisco costruito nel 1920 in memoria dei reparti che tentarono di conquistarne la vetta. Ai soldati italiani che vi combatterono sono dedicati i cinque cippi che circondano il piazzale: Volontari Trentini, Brigata Casale e Brigata Pavia, 2° e 3° battaglione del Reggimento Carabinieri Reali e Volontari Giuliani. Le rampe che collegavano l’obelisco alla strada sono franate due anni fa e sono ancora in attesa di essere ripristinate, altrimenti appena scesi in strada, guardando sulla sinistra, si noterebbero i resti di una porta in pietra con la tabella della 24a Brigata Zappatori del Genio Militare. Per scendere, bisogna imboccare il sentiero che inizia dietro al cippo dei Volontari Giuliani. Raggiunta la strada, svoltando a destra, ci si imbatte nella tomba di Scipio Slataper, riproduzione di quella originale conservata al Museo della Grande Guerra di Gorizia. Slataper, intellettuale e scrittore triestino arruolatosi volontario nel regio esercito, trovò la morte lì a ventisette anni durante la Quarta Battaglia dell’Isonzo. La tomba reca l’epigrafe “Per la libertà del suo Carso, per la grandezza d’Italia, visse nobilmente, eroicamente cadde” .

In località Grafenberg, sul sentiero che sale dalla locanda Ponte del Calvario, dopo circa cinquecento metri di salita si trova il cippo dedicato a Carlo Alberto Balzar, sottotenente della Brigata Avellino, che proprio in quel punto morì gettandosi in una trincea nemica. Sul lato meridionale, salendo verso le Tre Croci da Via delle Chiese antiche, ci si imbatte nel cippo dedicato al sottotenente Aldo Comandini, dell’undicesimo reggimento fanteria Brigata Casale, romagnolo, ricordato sulle pagine del Popolano di Cesena come “fratello buono e affettuoso” dai suoi commilitoni.

Proseguendo lungo Via delle Chiese antiche, oltre il cippo Comandini, s’incontrano le rovine delle chiesette campestri di San Pietro e della Santissima Trinità, ma molto suggestive, la cui memoria è preservata dall’intitolazione della strada. La terza chiesetta, quella di San Giovanni, che secondo una cartina militare del 1916 dovrebbe trovarsi circa a metà della stradina che collega le Tre Croci all’Obelisco, già all’epoca contrassegnata come diruta, non sono mai riuscito a identificarla.

Oltre ai monumenti, il Calvario offre una rete di sentieri e di scorci naturali incantevoli. L’aspetto del bosco non è sempre rassicurante, lo ammetto, a tratti assomiglia alla versione dark di quello di Biancaneve e camminandoci in mezzo, soprattutto quando mi addentro per sentieri meno frequentati, come faccio io per seguire Kyra nelle sue esplorazioni, ho spesso la sensazione di non essere solo, come se la fauna del posto – sia quella reale e innocua sia quella immaginaria e spaventosa presente nella mia fantasia – mi tenesse d’occhio. Per non parlare delle volte in cui finisco in posti che sembrano usciti dalla penna di Stephen King, nei quali la presenza umana è un sospetto, più che una certezza. Ma ci ho fatto l’abitudine e mi affido alla protezione del mio cane, sperando che nel momento del bisogno non mi abbandoni al mio destino. 

Scherzi a parte, passeggiare nel bosco del Calvario è un’esperienza bellissima. È un contesto naturale semplice, che nonostante i tentativi di renderlo fruibile con cartelli e indicazioni rimane come ripiegato su se stesso a protezione del proprio retaggio. Quando me lo immagino come una persona, vedo un vecchio, una di quelle presenze fisse dei bar di paese, capace di trascorrere ore seduto senza dire una parola pur avendo una marea di cose da raccontare, un passato di eroe di guerra pluridecorato e un medagliere da fare invidia ai generali dei film americani.

Questi, in sintesi, i motivi del mio interesse per il Calvario. Sicuramente ci saranno posti che non conosco, monumenti che non ho citato e sentieri che non ho percorso. Se fosse così, ditemelo nei commenti: sarà un piacere aggiungere altri dettagli a un un puzzle di cui scopro i pezzi una passeggiata dopo l’altra e altri motivi oltre a quelli che ogni giorno, da anno, mi fanno preferire quella collina per le passeggiate con Kyra.

Grazie per essere stati con noi.
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Una replica a “Podgora”

  1. […] segue sui social, sa che vado spesso a camminare con Kyra sul Calvario. Ne ho parlato anche in un articolo, dove accennavo a come l’atmosfera del bosco possa risultare tutt’altro che rassicurante. […]

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