Stamattina guardavo il reel di un’educatrice cinofilia molto seguita su Instagam, nel quale parlava di Hachiko, il film del 2009 diretto da Lasse Hallström, basato sulla storia vera di un cane di razza Akita, diventato famoso per la grande fedeltà nei confronti del suo padrone, il professor Hidesaburō Ueno. Dopo la morte improvvisa di Ueno, Hachikō si recò ogni giorno, per quasi dieci anni, ad attenderlo invano alla stazione di Shibuya, fino alla sua morte nel 1935.
La sua storia colpì a tal punto l’opinione pubblica e le autorità, che nel 1934 la città di Tokio gli dedicò una statua, che si trova all’ingresso della stazione. Hachiko è considerato un eroe nazionale e una delle cinque uscite della stazione di Shibuya è stata denominata “Hachikō-guchi” ossia “ingresso Hachikō” in suo onore.
Il film si discosta dalla storia a cui è ispirato per l’ambientazione e per alcuni dettagli, ma le linee generali sono uguali; anche in questo caso, infatti, dopo la morte del proprietario il cane torna ogni giorno nella stazione da cui questi partiva e rientrava dal lavoro. Secondo l’educatrice in questione, il comportamento del cane non avrebbe tuttavia niente a che vedere con l’affetto nei confronti dell’uomo. Si tratterebbe di una forma di attaccamento a un luogo che percepiva come casa sua, dove era abituato a ricevere attenzioni e cibo, per cui trovandosi in un ambiente a lui sconosciuto [la casa della figlia del proprietario, che l’aveva preso con sé dopo la sua morte] per di più in presenza di un bambino [situazione a cui non era abituato] scappare alla prima occasione e tornare alla stazione sarebbe l’unico comportamento sensato.
Ho detto più volte che non mi piace invadere le competenze specialistiche dei professionisti, ma in questo caso posso dire che l’educatrice si sbaglia. Come lo so? Lo so perché quel cane non esiste. Non siamo, infatti, in presenza di un soggetto reale che è stato oggetto di osservazione da parte di un esperto, ma di un personaggio, ossia di una invenzione funzionale agli scopi una narrazione, che in questo caso è un’apologia del cane migliore amico dell’uomo. Hachiko non è un documentario naturalistico, ma un film che vuole commuovere lo spettatore mostrandogli che l’amore del cane sopravvive alla morte e al tempo.
“Sì, ma dal punto di vista scientifico…”
Dal punto di vista scientifico, lo squalo non attacca l’uomo intenzionalmente; eppure, Lo squalo di Spielberg è considerato un capolavoro. Dal punto di vista scientifico, un pesce pagliaccio non correrebbe mai tanti rischi per recuperare suo figlio, eppure Alla ricerca di Nemo è il secondo film con il maggiore incasso del 2003, dietro a Il Ritorno del Re. Dal punto di vista scientifico, dei pinguini non riuscirebbero mai ad assemblare un aeromobile, neanche con l’aiuto delle scimmie, e a farlo volare, eppure in Madagascar ci riescono.
Devo andare avanti?
Si chiama sospensione dell’incredulità, si riferisce alla volontà dell’individuo di mettere da parte il proprio scetticismo e accettare temporaneamente ciò che viene presentato in una storia o una rappresentazione artistica, anche se risulta inverosimile o irrealistico. Nel caso di Hachiko, lo sforzo richiesto per la sospensione è minimo, da un lato perché la storia s’inserisce nell’alveo già molto ampio delle storie sugli animali e dall’altro perché quello col cane, in particolare, è un rapporto talmente consolidato che l’espressione più frequente quando si parla di cani è “amore incondizionato” [se non ci credete, fate una ricerca su Google].
Tutte le relazioni, sia quelle tra umani sia quelle tra umani e animali, si alimentano anche grazie ai simboli e traggono ispirazione dalla narrativa. Per questo, facciamo regali; per questo, disegniamo cuori quando siamo innamorati e sappiamo che “Amore significa non dover ma dire mi dispiace.” Sono stato io a dire, proprio su MinimiTermini, che troppa retorica sul cane migliore amico dell’uomo è deleteria, soprattutto per alcuni, ma entro certi limiti fa bene perché le immagini edificanti di certe storie forniscono esempi positivi ai proprietari. Quello che legava Hachiko a Ueno è una cosa che riguardava solo loro due, ma noi possiamo trarre ispirazione dalla storia per migliorare noi stessi e il rapporto col nostro cane. Le immagini positive sono chiavi che aprono i compartimenti dell’anima dove si trovano i sentimenti migliori. Certo, ci vuole equilibrio, perché il rischio è quello di perdere la lucidità e diventare come i candidi di cui parlavo in uno degli articoli della serie Why Rott?.
Concludo ricordando un libro di Gwen Cooper che ho amato moltissimo, che s’intitola “Omero Gatto nero”. E una di quelle storie positive e edificanti di cui parlavo. Gwen Cooper, nel suo libro, sostiene che il motivo per cui amiamo le storie di animali è che queste sono la dimostrazione dell’esistenza di un ordine morale oggettivo. È in questo contesto, secondo me, che s’inserisce la storia di Hachiko.



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