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Il blog di Oreste Patrone


Found

In un panorama televisivo saturo di serie crime, Found si distingue per la scelta di mettere al centro non soltanto i casi delle persone scomparse, ma soprattutto le persone che le cercano — e il dolore che le muove. La serie, creata da Nkechi Okoro Carroll, è un racconto sulla sofferenza e sulla possibilità di trasformarla in una forza concreta, militante, al servizio degli altri.

Inserire le vicende personali dei protagonisti nelle narrazioni seriali non è di per sé una novità, né una scelta particolarmente originale. Tuttavia, ciò che rende Found interessante, e a tratti disturbante, è il tipo di esperienza condivisa dai personaggi, segnati da rapimenti e sequestri. Non semplici traumi di contorno, ma cicatrici profonde che agiscono come un’eco narrativa costante, scavando in una paura arcaica e universale: quella di sparire, di essere dimenticati, di perdere o essere persi senza che nessuno ci cerchi. È da quel vuoto che Found trae la sua forza.

La protagonista, Gabi Mosely [Shanola Hampton], è una sopravvissuta. Già vittima di rapimento, si dedica con ostinazione al ritrovamento di chi è sparito nel silenzio, spesso ignorato dalle autorità. Il suo team è composto da individui segnati da traumi analoghi. Non c’è retorica, tuttavia, in questa rappresentazione: il dolore non viene esibito come una medaglia, come un punto d’onore, ma accolto come una realtà cruda, un filo rosso che li unisce e li motiva nella ricerca. 

Ogni episodio apre una finestra sulla vulnerabilità delle vittime e di chi le cerca, giocando su contrasti tra flashback e una contemporaneità dove la giustizia è spesso un atto di disobbedienza. La fotografia insiste sui toni cupi, mentre le interpretazioni — in particolare quella di Shanola Hampton — offrono una gamma emotiva che spazia dalla rabbia al senso di colpa, dalla tenacia al desiderio inconfessato di redenzione.

Tuttavia, la costruzione non è priva di ingenuità. 
Alcune situazioni lasciano perplessi, come quella di Zeke [Arlen Escarpeta], informatico ed esperto di tecnologia della squadra, agorafobico, capace di spiare a chilometri di distanza con un sospettato con un drone, ma che non pensa di guardare dallo spioncino della porta che lo separa dal resto del mondo per scoprire chi ha suonato, finendo preda di un maniaco. Sono scivoloni che spezzano la tensione e tolgono forza a momenti altrimenti potenti. A ciò si aggiunge la fragilità di alcuni personaggi. Sir [Mark-Paul Gosselaar], il carnefice nascosto, è delineato in modo caricaturale, più vicino a un villain fumettistico che a una figura disturbante e credibile. Dove ci sarebbe bisogno di ambiguità e profondità, troviamo invece un antagonista piatto e prevedibile. 

Eppure Found riesce a farsi perdonare queste cadute. Perché non è solo una serie sul dolore: è una dichiarazione di solidarietà. Ogni ricerca non è solo un’indagine, è una riparazione. Un modo per dire: tu sei esistito, tu non sarai dimenticato.

E poi c’è Margaret Reed [Kelli Williams]. Il suo dolore — quello di una madre che ha perso il figlio e non ha mai saputo perché — è forse il più devastante, il più silenziosamente universale. È il personaggio che porto con me, perché incarna la mia paura più grande. Una paura che si riflette, purtroppo, nelle troppe storie reali di scomparse senza soluzione, che Found evoca con discrezione ma con una forza che non lascia indifferenti.

Ma ciò che rende il dolore di Margaret ancora più straziante è il senso di colpa che porta dentro di sé. È stata lei, anni prima, ad allontanare il figlio per avere cinque minuti di tregua dalle sue richieste, un gesto piccolo, umano, comprensibile eppure fatale. Margaret torna alla stazione degli autobus dove suo figlio si è smarrito ogni notte. Non è solo una ricerca: è una veglia, una penitenza silenziosa, un modo di redimersi da quella colpa della quale non si è mai perdonata. Margaret non cerca solo il figlio, cerca anche sé stessa: la madre che è stata e quella che non ha fatto in tempo a diventare.

Found non è perfetta, ma ne è consapevole. Poprio per questo, tuttavia, se le darete una possibilità, potreste scoprirvi una bellezza nascosta che ci ricorda quanto tutti, in fondo, vorremo un lieto fine per chiunque stia aspettando il ritorno di qualcuno a cui dire “Bentornato a casa.”

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