Nella prima parte di questo articolo, riflettevo sul fatto che, mediamente, il livello delle conversazioni sui cani è piuttosto basso. Non sempre, certo, ma spesso quel che si dice gira attorno a luoghi comuni e semplificazioni. In quel contesto, raramente ho voglia di entrare nel dettaglio dell’impegno che comporta convivere con Kyra. Non per paura di essere frainteso, ma perché so che quello che racconterei verrebbe comunque letto con gli occhi di chi cerca una conferma, non la comprensione di qualcosa.
Parlare della convivenza con Kyra non significa parlare in generale della convivenza con un cane. L’ho detto io, ma lo dicono soprattutto i divulgatori bravi, attenti e seri: la razza è un contenitore. Dentro ci sono individui, ognuno col proprio temperamento e il proprio vissuto, tutti diversi. Certo, hanno caratteristiche in comune — diversamente, non avrebbe senso parlare di razza — talvolta possono presentare somiglianze più marcate altre meno, ma sono comunque diversi. L’individuo resta. E allora no, non posso parlare per tutti i Rottweiler. Posso parlare della mia esperienza, con il mio cane.
Quindi, se dovessi rispondere seriamente alla domanda “ma è impegnativo convivere con lei?”, direi che lo è. Questo a patto, però, di chiarire bene cosa si intende con impegno. Perché l’impegno, se vissuto come rinuncia, come peso, come tempo sottratto ad altro, non è lo stesso che intendo io. Se c’è qualcosa che oggi faccio meno di quanto facessi un anno e mezzo fa — mi viene in mente l’andare in bici, ma potrei fare anche altri esempi — è perché ho scelto così, non perché sono stato costretto.
C’è una bella differenza.
Kyra è sicuramente un cane a cui viene dedicato molto tempo. È una mia scelta, come ho detto, una decisione che ho preso quanto è arrivata da noi. Io cercavo una compagna, l’altra metà di qualcosa che forse non era chiarissimo nei dettagli, ma lo era abbastanza nelle linee generali. Linee nelle quali non c’era spazio per un cane ridotto al ruolo di accessorio da passeggiata. E bisogna stare attenti a non farsi confondere dalle immagini che ogni tanto condivido sui social: i nostri giochi, gli scherzi, gli scambi di cibo dalla bocca — quelle scene più tenere, divertenti.
Sono vere, ma non sono tutto.
Kyra è anche un cane con un’inclinazione fisica molto marcata. È un cane che ha bisogno di ingaggiare attività intense e ben direzionate, che le permettano di esprimere la sua forza e le sue motivazioni in modo positivo e sicuro. Una di queste attività — mi spiace per chi la considera come qualcosa di deprecabile e inappropriato — è proprio quella che coinvolge la presa, che deve essere incanalata in giochi strutturati, costruttivi e inseriti nella relazione. Non parlo degli eccessi e delle messe in scene esibizionistiche che si vedono in certi video indegni, ma di gioco, puro e semplice, in grado di appagare la spinta competitiva del cane senza esasperarla, rinforzando la fiducia reciproca e la collaborazione col proprietario.
Osservandola, conoscendola ogni giorno di più, ho capito che Kyra è simile, per certi aspetti, a quei ragazzoni dei College americani che militano nelle squadre di football. Si dedicano anche allo studio — spesso anche con ottimi risultati — ma la loro vocazione è il campo da gioco: è lì che esprimono la parte più efficace di sé stessi. E dico efficace, non migliore che implica un giudizio di valore più ampio, che investe la persona nella sua totalità. Dire che Kyra dà il massimo nel gioco non significa che lì sia migliore in senso assoluto, ma solo che in quello riesce a esprimere al massimo la sua forza, la sua velocità e la sua motivazione a competere. È efficace come un atleta che trova nel gesto tecnico la forma della propria espressione. Ma il valore di Kyra, come quello di qualsiasi individuo, non si esaurisce certo lì.
Per restare in metafora, senza entrare troppo nei tecnicismi dei ruoli del football, Kyra è un meraviglioso difensore della sua famiglia. Ha bisogno di esercitare le sue motivazioni — con misura, ma senza negarle o reprimerle. Ha bisogno di sentire la sua forza impegnata in qualcosa che conosce e che sa fare come nessun altro. Questo non toglie che tra una partita e l’altra, anche il migliore difensore possa leggere Pastorale americana e trarne piacere. O fare le parole crociate. Se non fosse così, se la sua vita si riducesse solo alle partite — al di là dell’impoverimento che ne deriverebbe, già grave in sé — si rischierebbe qualcosa di ancora peggiore, ossia di plasmare un individuo che vive solo per il momento dello scontro fisico, che non conosce altro.
L’associazione tra inclinazioni difensive e comportamento aggressivo è una forzatura, un’etichetta ingiusta. Se cercate un’associazione corretta, pensate a Quinton Aaron in The Blind Side, nel ruolo di Michael Oher. Un uomo grande, grosso, buono come il pane e votato alla protezione di chi ama, senza che in questa vocazione ci fosse nemmeno l’ombra della cattiveria. Ecco, questo è Kyra.
L’esempio di Pastorale americana non è casuale. Per apprezzare un’opera come quella servono competenze, requisiti quali cultura, sensibilità, ma anche pazienza — perché leggere è un passatempo lento. E queste cose vanno insegnate. Ancora una volta, tutto rimanda al tempo, forse la misura più onesta dell’impegno. Lo stesso vale per le parole crociate, che non sono solo un gioco, ma un esercizio di concentrazione e conoscenza. Nulla di tutto questo si improvvisa.
Il lavoro fatto con la nostra educatrice ha permesso di modulare le sue inclinazioni e arricchire la sua quotidianità con tante attività diverse, allargando i suoi orizzonti. Kyra non è in grado di leggere Roth, ma sa apprezzare cose più adatte a lei come le lunghe passeggiate nella natura, i bagni al fiume, il silenzio e il riposo, i giochi di soluzione che sono le sue parole crociate, e tanto altro ancora. Questo è il senso e la misura del mio impegno nei suoi confronti: garantirle una vita piena e appagante. Un impegno che non mi ha imposto nessuno, che ho scelto io e che si rinnova ogni giorno. Perché Kyra è parte della mia famiglia, non un altro peso da sopportare.
Fin qui ho parlato solo del tempo dedicato direttamente a Kyra, ma esiste anche un tempo indiretto, che pure ha avuto e ha un impatto enorme sul nostro rapporto. È il tempo speso per conoscerla meglio, per cercare di comprenderne il linguaggio, le motivazioni, i bisogni profondi. Un tempo che non abbiamo trascorso insieme fisicamente, ma che è stato comunque dedicato a lei. Ho seguito webinar e corsi, partecipato a serate tematiche, letto libri, ascoltato professionisti di altissimo livello. Tutto questo non con l’intento di formare una professionalità, ma perché ho capito una cosa semplice: lei non può imparare la mia lingua, ma io posso fare lo sforzo di avvicinarmi alla sua, per quanto mi è possibile.
Anche questo è impegno.
Infine c’è il tempo che dedico a scrivere questi articoli e i post sui social. Tempo speso non solo per raccontare il nostro rapporto, ma per provare a destrutturare gli stereotipi negativi che circondano i cani come lei, offrendo una narrazione alternativa. È come nuotare controcorrente, trascinati da episodi spesso drammatici, amplificati da una narrazione sensazionalistica che prospera proprio sugli stereotipi che contribuisce a rafforzare.
Questo è il modo in cui concepisco il mio impegno nei confronti di Kyra. Non potrei pensare a niente di meno, ma non credo affatto che tutti debbano fare quello che faccio io. Anzi, sono certo che ci sia chi fa molto di più. Questo è semplicemente il mio modo, quello che mi fa sentire presente nella sua vita e attento ai suoi bisogni.
Spero che la pensi così anche lei.
MinimiTermini



Lascia un commento