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Il blog di Oreste Patrone


Dove nessun cane era mai arrivato

Che cos’hanno in comune Star Trek e i Peanuts?
In entrambi, tanto nell’universo fantascientifico creato da Gene Roddenberry quanto nei fumetti di Charles Schulz, compare un cane di razza Beagle. Se, tuttavia, la fama di Snoopy ha attraversato generazioni e continenti facendone un’icona globale, meno noto è Porthos, il cane che accompagna il capitano Jonathan Archer a bordo della USS Enterprise NX-01. 

Porthos, sia chiaro, non è un esperimento. È un compagno d’avventura.
Egli dorme ai piedi del suo umano, lo segue ovunque e condivide il suo cibo. Incarnando l’umanità di Archer, ne rivela le fragilità e diventa il centro emotivo di episodi come “Una notte in infermeria”, nel quale finisce per urinare su un albero sacro della civiltà aliena ospite dei Kreetassani, scatenando la loro indignazione e una piccola crisi diplomatica interstellare. Il tutto con la beata inconsapevolezza che caratterizza le anime pure.

Porthos, inoltre, è il primo cane della storia a contrarre una patologia aliena, curata solo grazie a una terapia sperimentale basata su un trapianto ipofisario interspecie, cosa che da sola gli varrebbe una menzione nei manuali di medicina veterinaria. 

Ma la sua presenza a bordo dell’Enterprise ha un significato simbolico che supera di gran lunga il valore della somma delle sue imprese. Nell’immenso immaginario di una saga fondata sull’esplorazione dell’ignoto, la sua presenza è un promemoria del fatto che esplorare non significa soltanto allontanarsi, ma anche portare con sé ciò che si ama e che tiene insieme le parti più intime della nostra identità. Archer, un uomo che regge sulle proprie spalle il peso pionieristico di un’intera civiltà, non rinuncia al valore di un legame affettivo che sfida il silenzio e le distanze enormi dello spazio, restituendoci l’ennesima prova della misura morale del rapporto tra l’uomo e il cane.

Pensando a Porthos è impossibile non fare confronti con Laika, la cagnolina sovietica lanciata nello spazio nel 1957. Laika non tornò mai indietro. Morì poche ore dopo il lancio, vittima di calore e stress, in una capsula senza ritorno. Celebrata come eroina delle missioni spaziali, ne fu in realtà vittima innocente. La sua storia è diventata simbolo di eroismo e sacrificio, ma se in generale tendo a diffidare delle narrazioni enfatiche, questo vale a maggiore ragione quando riguardano individui sacrificati, senza possibilità di scelta, per il cosiddetto bene superiore.

È per questo che mi piace vedere in Porthos un tentativo di riscattare almeno in parte le nostre colpe del passato. È un cane che viaggia tra le stelle senza perdere i suoi giochi, la sua cuccia e, soprattutto, il suo papà umano. È rispettato da tutti e la sua felicità fa parte della missione. 

Quando immagino Snoopy sulla sua cuccia rossa intento a riscrivere per l’ennesima volta la storia degli eventi di quella notte buia e tempestosa, mi piace pensare che potrebbe essere una storia di fantascienza, magari la biografia di Porthos, il cane che arrivò dove nessun cane era mai arrivato prima. Mi piace pensare che la dedicherebbe alla memoria di Laika, martire dello spazio. Una storia ambientata in un mondo immaginario in cui i cani non pagano il prezzo dei nostri errori.

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