“Tutti siamo esattamente dove dovremmo essere.”
Non so quante volte ho sentito questa frase, quante volte l’abbia ripetuta io stesso.
Ogni volta che mi sentivo fuori posto, dubbioso o confuso rispetto a una vita diversa da quella che mi aspettavo sarebbe stata la mia, me la ripetevo e mi sentivo meglio. Se ero dove dovevo essere, mi dicevo, ero nel posto giusto, e se il posto era quello giusto allora non c’era mai stato un momento in cui, di due strade, avevo scelto quella sbagliata.
Da un po’ di tempo a questa parte, tuttavia, non sono più così convinto che il posto in cui mi trovo sia quello giusto. La sensazione di non riconoscermi nei luoghi, nelle situazioni e nelle persone che mi circondano si è fatta pressante e ripetermi che sono dove dovrei essere non mi è di nessun aiuto. Mi sembra quasi una presa in giro, un modo per mettere a tacere le voci nella mia testa che mi dicono il contrario.
In parte credo che dipenda dagli eventi accaduti nell’ultimo anno. La morte di mio padre, in particolare, mi ha proiettato in una dimensione di vita inedita nella quale l’adulto – la prima linea della metafora sulla guerra di qualche articolo fa – sono io. Come mi faceva notare qualcuno, il fatto di fare la dichiarazione dei redditi e di avere una famiglia non fa necessariamente di noi degli adulti. È una condizione, quella dell’adulto, che non dipende da una nostra scelta. Capita.
Quella notte di dicembre di due anni fa, mi sono ritrovato di colpo a fare i conti con la vita come non l’avevo mai conosciuta. La consapevolezza che fossi dove dovevo essere non mi era di alcun conforto, anzi. Il pensiero che quel posto di merda fosse quello giusto per me mi faceva veramente incazzare. Tanto per restare in tema di frasi da diario, me ne viene in mente una – un proverbio scandinavo – che descrive molto bene la situazione come appariva ai miei occhi: “Tutte le navi hanno un buon capitano in acque tranquille.”
Le mie acque si erano fatte di colpo agitate, davanti a me si era aperto un gigantesco maelstrom e bisognava condurre in salvo la nave. Solo che non c’era nessun capitan Barbossa che potessi chiamare al timone [1]. C’ero solo io. E così ho fatto quello che ho potuto, meglio che ho potuto. Non sono ancora fuori dalla tempesta ma la nave è ancora tutta intera.
E non è poco.
Forse davvero il posto in cui mi trovo non è più quello giusto per me.
Forse il mio prossimo posto giusto è oltre questa tempesta. Lo spero proprio.
Se ci arrivo, prometto ci scrivo sopra un articolo.
Fino ad allora: “Stringete il vento e non fatevela addosso!”

[1]https://www.youtube.com/watch?v=o3sc-fpi3FM

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