Del perché Albus Dumbledore, quella notte al Ministero della Magia, vinse lo scontro con Voldemort molto prima che questo avesse inizio
La frase che da il titolo a questo articolo è famosa. È la frase che Albus Dumbledore, Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogworts, pronuncia quando fa la sua apparizione nel Ministero della Magia, la notte dell’attacco dei Mangiamorte guidati da Lucius Malfoy. Albus, emergendo dalle fiamme verdi della metropolvere, compie alcuni passi e si ferma. È alto forse un metro e settanta ma la sua postura, la sicurezza che emana da ogni ruga sul suo volto, lo fanno sembrare un gigante. Prima ancora che apra bocca lo spettatore sa di trovarsi di fronte a un grande guerriero. Per la prima volta da quando è iniziata la saga cinematografica, Dubledore smette i panni del Preside saggio e premuroso, talvolta anche un po’ eccentrico, per sfoggiare quelli minacciosi del combattente. È la stessa persona, eppure qualcosa in lui è cambiato. E mette paura, in questa veste inedita – non per niente la Rowling, nel romanzo, ce lo presenza come “l’unico di cui Voldemort avesse mai avuto paura”. Egli non è venuto al Ministero per tirare le orecchie a Voldemort, ma per schiacciarlo con la propria superiorità e tutto questo prima ancora di parlare. Siamo di fronte a una grande prova d’attore di Michael Gambon il quale solo con la postura e gli atteggiamenti ci mostra tutto ciò che ancora non può raccontare. E Ralph Fiennes — Lord Voldemort — non si fa pregare, basti osservare come il suo sorriso sprezzante si spegne di colpo e l’espressione muta nell’arco di pochi istanti dallo sgomento iniziale, al disappunto e infine alla sfida. Fiennes riesce a farci vedere i sentimenti del suo personaggio con una mimica appena accennata ma straordinariamente efficace. C’è paura negli occhi di Voldemort ma anche risentimento e odio, che insieme lo portano a sfidare l’uomo che fu suo maestro. Poi Dumbledore apre bocca e pronuncia la frase: “It was foolish of you to come here tonight, Tom. The Aurors are on their way.” Siamo arrivati al dunque, alla definitiva affermazione della superiorità di Albus. Lo scontro vero e proprio deve ancora iniziare, dalle bacchette non è scaturito ancora nessun incantesimo eppure Dubledore è riuscito a ridurre Voldemort in una condizione di inferiorità dalla quale questi riesce a riscattarsi solo alzando la posta con una minaccia: “By which time I shall be gone. And you… shall be dead.” Tuttavia, questa affermazione è solo il tentativo estremo di ristabilire un equilibrio tra le parti in lotta dopo la vittoria psicologica di Dumbledore. Quest’ultimo, infatti, nel rivolgersi al mago oscuro più potente di tutti i tempi, un male talmente grande che non può essere neppure nominato — solo Harry (ed Hermione Granger in un’unica occasione) osano parlare di lui chiamandolo per nome, usa il suo nome di battesimo. Una sconfitta per lui che su quel nome ha costruito l’aura di terrore che lo circonda. Voldemort, anagramma di Tom Marvolo Riddle (l’anagramma completo, rivelato in Harry Potter e la Camera dei Segreti, era I’m Lord Voldemort) che Tom cancellò per affrancarsi dalla discendenza babbana del padre, è un potente simbolo di paura. Dumbledore si rifiuta di celebrare quel simbolo, si rifiuta di concedere a Tom Riddle il tributo d’onore per la grandezza che questi si è costruito col sangue. Dumbledore lo disprezza e non ne ha paura: per lui, Voldemort è semplicemente Tom Riddle. E come tale, se necessario, morirà.
In memoria di Michael Gambon (19.10.1940-27.09.2023)


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