Training Day è un film del 2001 scritto da David Ayer e diretto da Antoine Fuqua.
È il racconto della discesa all’Inferno del giovane Jake Hoyt, agente di polizia che aspira a entrare della squadra narcotici della polizia di Losa Angeles, e della lotta che dovrà affrontare per uscirne.
Tutto si consuma nell’arco di un’unica giornata, la più importante della vita di Jake, e inizia in una caffetteria tra la 7th e Witmer, dove questi incontra per la prima volta il pluridecorato agente Alonzo Harris e ne riceve la prima lezione di condotta nella celebre scena del giornale. Sarà Alonzo ad accompagnarlo e spingerlo nelle profondità di quegli inferi da cui Jake lotterà per uscire, viscere infette di una Los Angeles mai così violenta e disperata, spietato paese delle meraviglie nel quale Jake veste i panni di un Alice col distintivo. La depravata versione del Bianconiglio è un Denzel Washington immenso e inedito nel ruolo di antagonista e mentore del giovane Hoyt, talmente grande che grazie al ruolo di Alonzo porta a casa il suo secondo premio Oscar, come migliore attore protagonista, dopo quello del 1990 per il ruolo del soldato Silas Trip in Glory.
Eravamo abituati a vedere Denzel Washington nel ruolo dell’eroe bello, buono e democratico, sempre dalla parte del giusto. Il personaggio di Alonzo Harris rompe questo schema mostrandoci uno uomo crudele, volgare e senza scrupoli, dotato tuttavia di una complessità che il montaggio finale ha sacrificato a favore di una lettura del personaggio che appare, secondo me, ingiustamente semplificata e riduttiva. Alonzo è, infatti, un uomo che ha iniziato la propria carriera nella polizia sapendo esattamente quale fosse la parte giusta e dove fosse il confine tra quest’ultima e quella sbagliata ma che a un certo punto ha fatto un passo oltre quella linea, ha scelto la scorciatoia, magari per aggirare un ostacolo del sistema giudiziario e ottenere comunque un arresto e quindi, dal suo punto di vista, giustizia. Inizia forse da lì la sua lenta corruzione, la sua discesa negli inferi in cui cercherà di trascinare anche Jake per il proprio tornaconto.

Il problema di certi confini è che non andrebbero mai superati, neanche per una volta e neanche per poco, perché l’altra parte è un ambiente senza regole dove l’aria tossica che vi si respira attacca la morale dell’individuo come l’acido attacca il ferro, corrodendolo fino alle radici dell’anima, finché non rimane più niente. Dell’anima corrotta di Alonzo rimane infatti solo un ricordo sbiadito, che emerge in quei frammenti di pellicola sacrificati dal montaggio in cui racconta a Jake qualcosa di sé e dei suoi inizi.
Ma Alonzo, ora, è solo un uomo pericoloso e disperato che ha come unico scopo quello di salvarsi la pelle dai mafiosi russi che gli danno la caccia. E se, per riuscirci, dovrà passare sul cadavere di Hoyt, lo farà. Sarebbe andato tutto secondo i suoi piani se Jake, spinto dal proprio attaccamento alla vita e aiutato dal karma, non avesse avuto una seconda occasione e avesse rincorso Alonzo fino nel buco dove si era nascosto, per stanarlo e affrontarlo. L’incorruttibilità di Jake si scontra contro le tenebre di Alonzo, il cui potere è agli sgoccioli, minacciato dall’ombra di una morte sempre più vicina, e vince. Jake riesce a tornare a casa anche se non sarà mai più lo stesso, perché la sua innocenza ha iniziato a dissolversi nella caffetteria dove tutto era iniziato. Alonzo invece morirà da solo, in mezzo a una strada deserta, crivellato dai colpi delle armi automatiche dei russi che ridono del suo corpo straziato come fosse un pupazzo. Forse ha avuto quello che si meritava, forse il karma alla fine ha raggiunto lui come ha salvato Jake Hoyt dalla morte, chi lo sa.
Il sipario cala su Los Angeles e chiude una giornata che sembrava senza fine.
Los Angeles, la città di Alonzo, la città in cui tutto può accadere.


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