Ve lo ricordate? Era il migliore amico di Denny Zucco in Grease. Con Danny, Doody, Sonny e Putzie formavano i T-Birds, la banda di studenti ribelli dell’immaginaria Rydell High School, facce da schiaffi con la fissa delle ragazze e dei motori (T-Bird è l’altro nome con cui era nota la Ford Thunderbird).

L’attore che interpretava il personaggio di Kenickie si chiamava Jeff Conaway. Non ebbe una carriera fortunata come quella di John Travolta, interprete di Danny – il quale conobbe comunque un periodo di oblio durante gli anni ’80 – e morì di overdose all’età di sessant’anni, molti dei quali segnati dalla depressione e dalla tossicodipendenza.
Le storie delle celebrità del mondo dello spettacolo cadute in disgrazia, come Conaway, mi hanno sempre messo tristezza. Ciò nonostante, per anni le ho collezionate come una sorta di memento della fragilità e della caducità della condizione umana. Per citarne solo alcuni: Dana Plato, la Kimberly de Il mio amico Arnold (Diff’rent Strokes), arrestata per rapina a mano armata e morta di overdose di farmaci tranquillanti a trentacinque anni; lo stesso Gary Coleman, le cui controversie legali fornirono materiale alla stampa scandalistica per anni, fino alla morte avvenuta per cause naturali nel 2010, a quarantadue anni; Hervé Jean-Pierre Villechaize, il Tattoo di Fantasilandia (Fantasy Island), che consumò gli ultimi anni della sua vita tra alcolismo e depressione, fino alla sera del 4 settembre 1993, quando si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola al petto. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, scriveva Ungaretti sebbene, mi rendo conto, queste persone non stessero combattendo alcuna guerra. O forse sì, una guerra con se stessi che alla fine hanno perso. Per restare in metafora, sono caduti come foglie da alberi altissimi, pieni di frutti deliziosi, per essere dimenticate fino alla notizia della loro morte.
Solo a quel punto si è appreso quanto se la passassero male.



Di tutti loro, non so perché, Conaway ha sempre rappresentato per me un simbolo. Jeff Conaway, Kenickie, è il T-Bird che non ce l’ha fatta. Quanto sia dipeso da lui, dalle sue scelte o dai suoi comportamenti sbagliati, e quando dal sistema dello spettacolo non lo so e in fondo non m’interessa. La rete è piena di articoli che descrivono le situazioni d’indigenza in cui versano personaggi appartenuti al mondo dello spettacolo, di solito li leggo tutti, e resto sempre basito dai commenti dei tanti utenti che mostrano compiacimento, come se la condizione di miseria economica di una persona un tempo benestante bilanci in qualche modo la loro insoddisfazione, come se quella caduta fosse la giusta punizione per chi ha osato avere successo, quasi che averne fosse una colpa. La caduta deve essere brusca e, se possibile, rovinosa.

Io, invece, ho sempre empatizzato con quelli come loro, con quelli che non ce l’hanno fatta, coi Kenickie. Forse perché ho sempre pensato a loro come persone che avevano sperimentato sulla loro pelle una verità che molti di noi preferiscono non vedere, ossia che siamo tutti appesi a un filo sottile come un capello e se tante volte non si spezza è solo fortuna (volevo scrivere un’altra parola, che secondo me rende meglio l’idea, ma la nuova linea editoriale del blog ha bandito le parolacce e quindi sono costretto a farle intendere usando espedienti come le parentesi). Certo c’è chi ci mette del suo per farlo spezzare, quel filo, ma in quel caso mi astengo dal fare commenti come non commento le affermazioni di quelli convinti che sia solo merito loro se il filo è ancora intero. Io penso al mio, cerco di stare attento e ringrazio il cielo che sia ancora lì a tenermi.
Il filo di Jeff Conaway si è spezzato il 27 maggio 2011.
Di lui ci restano una quindicina di film e partecipazioni a diverse serie televisive, tra cui due stagioni di Beautiful e quattro di Babylon 5. Ci sono stati sicuramente attori con curriculum più prestigiosi del suo.
Ma nessuno di loro può dire di essere stato Kenickie!
“Bop bopa-a-lu a whop bam boom!

(New York, 5 ottobre 1950 – Los Angeles, 27 maggio 2011)

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