Burj Al Babas, in Turchia, è una città fantasma formata da più di cinquecento castelli identici, tutti realizzati in stile Disney. È quel che rimane dell’ambizioso progetto immobiliare dei fratelli Mezher e Mehmet Yerdelen e del loro socio in affari, Bulent Yilmaz.



L’ammiraglia della marina militare indiana si chiama Vikramaditya e prende il nome da un leggendario re che compare in alcune opere della tradizione. Fu ceduta nel 2004 all’India dalla Russia gratuitamente, risultando in disarmo dal 1996 per problemi all’apparato motore. Per rimetterla in sesto, l’India sostenne un costo complessivo di 2,35 miliardi di dollari. Dal 2014 la Vikramaditya è stata dichiarata operativamente dispiegata insieme al suo gruppo aereo imbarcato di MiG-29K e costituisce l’orgoglio della marina militare indiana.




Le due cose – lo sfortunato villaggio disneyano nel cuore della Turchia e la portaerei indiana – non hanno niente in comune eccetto il fatto di essere storie che ho raccolto, in momenti diversi, saltellando da un sito all’altro grazie al potere degli ipertesti.
Lo scopo di questo articolo non è quello di tediarvi con un elenco di curiosità pescate a caso nella rete. Lo scopo è quello di raccontare perché dedico tanto tempo a queste ricerche, che uso ne faccio e soprattutto che valore hanno per me.
Lo faccio perché non mi passa un…
Scherzo. Lo faccio, innanzitutto, per curiosità.
Sono sempre stato curioso, fin da bambino. Mi è sempre piaciuto fare ricerche e accumulare informazioni. Tuttavia, se mi limitassi a stipare informazioni nella memoria come oggetti in una soffitta, finirei col dimenticarmene, col perderle. Per questo, mi piace archiviarle in modo ordinato e per farlo mi avvalgo della scrittura. Mi sono reso conto che è più facile, per me, ricordare le cose se le organizzo all’interno in un testo scritto, non inteso nel senso di ricopiare l’informazione su un foglio ma di sfruttarla per costruire, insieme ad altre simili o in qualche modo collegate tra loro, un testo con un senso logico. Scrivo per fare ordine nella mia testa, insomma.

Così organizzate, le informazioni sono accessibili più facilmente e posso usarle in conversazioni e nella produzione di testi. La storia della Exxon Valdez, per esempio, la conoscevo da tempo perché occupandomi di ambiente episodi come quello, la Deepwater Horizon o la Prestige sono state la base della mia formazione ma ho scritto della Valdez e non degli altri due che ho citato perché il film di Reynolds mi ha fornito lo spunto, il pretesto per collegare la storia della nave con quella del film.
In quest’ottica, la scrittura diventa non solo un esercizio e un mezzo per condividere con gli altri pensieri e stati d’animo ma anche un utilissimo strumento di autodisciplina.
Tuttavia, c’è un tuttavia.
Di recente, mi sono reso conto che questo approccio alla ricerca ha dei tratti compulsivi e che l’accumulo di informazioni, per quanto le si possa ordinare, è una pratica faticosa e inutile se non è finalizzata a uno scopo. Spendendo energie per fare ordine in una massa di informazioni accumulate senza criterio e senza motivo, mi ritrovo spesso stanco ma senza quella soddisfazione che accompagna la consapevolezza di avere fatto qualcosa di utile. Quindi, non è solo curiosità, come ho detto a metà dell’articolo, come non è solo fame quella che porta alcune persone ad abbuffarsi fino a stare male e non è amore per il collezionismo quello che porta alcune altre a seppellirsi di oggetti fino a non potere uscire più dalle proprie case. Ora non voglio esagerare, non credo che il mio rapporto con le ricerche sia altrettanto grave ma ho capito che alla base non c’è – e non c’è mai stata – solo la curiosità.
Per usare una metafora, tra una stanza vuota dove niente è fuori posto perché niente c’è e una stipata di oggetti, inutili ma accuratamente inventariati, c’è la situazione intermedia di una stanza arredata col necessario per assolvere alla sua funzione e anche in questo caso esiste una gamma ampia di sfumature che può andare dal minimalismo totale della cella di un monaco all’esuberanza della cameretta di un adolescente.
Nel mio caso, si tratta di recuperare un rapporto equilibrato con la mia curiosità, evitando di lasciarmi trascinare nella spirale dell’accumulo di informazioni che non porta ad altro che all’esaurimento delle energie mentali, concedendo qualcosa allo svago sapendo riconoscere dove sta il confine. Se fosse facile non ci avrei scritto un articolo ma non è neanche impossibile. Come primo passo, mi sono preso una pausa dai social, che sono quanto di più deleterio possa esserci per una persona col mio problema, perché puoi trascorrere ore intere immerso in un flusso ininterrotto di informazioni di bassa qualità che hanno come uno scopo quello di intrattenerti: passavo dalle acrobazie dei gatti ai video del Ruzza, dalle clip di film e serie TV alle ricette di cucina. Il problema di questa modalità di fruizione dei contenuti – trascurando in questa sede tutte le altre implicazioni e questioni relative all’uso dei social, di cui magari parlerò in un prossimo articolo – è che non è finalizzata. Non guardo la ricetta perché ho cercato come preparare un determinato piatto, la guardo perché mi è stata proposta all’interno del flusso. Potrei semplicemente interromperlo e dedicarmi ad altro ma come avrete capito, sono sensibile al fascino dell’Anello e posso salvarmi solo mettendo tra me e quest’ultimo una certa distanza.
Potreste obbiettare che la rete è piena di siti che riportano curiosità dal mondo, informazioni bizzarre e curiose, proprio allo scopo di intrattenere le persone come una volta facevano certe riviste. Il problema è che io non lo faccio per quello, non cerco informazioni e non ne scrivo per quel motivo. Comunque, penso di essere stato chiaro e poiché non amo ripetermi, chiudo qui questa digressione.
Però, se ci penso.
Cinquecento castelli identici in stile Disney. Io avrò anche i miei problemi ma se fossi nei fratelli Yerdelen, qualche domanda me la farei.

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