Stanotte ho fatto un sogno.
C’eravamo io e Kyra. I nostri nomi e il nostro aspetto non erano quelli attuali ma eravamo noi. La voce narrante era la mia, come se stessi raccontando a me stesso un ricordo che avevo dimenticato.
Nel sogno ero un legionario dell’esercito imperiale di stanza sul limes renano. Lei proveniva da uno dei tanti allevamenti capuani di cani da guerra e da combattimento di cui si serviva l’Impero…
“Capii subito, appena la vidi, che era diversa dagli altri cani che seguivano l’esercito. Gli altri avevano tutti qualcosa nello sguardo, una sorta di orgoglio, di consapevolezza della propria forza; ogni fibra del loro corpo esprimeva una tensione alla lotta, con posture e atteggiamenti di sfida costanti. Lei no, lei sembrava che volesse scomparire, diventare invisibile agli occhi di quel mondo che i suoi compagni sembravano invece impazienti di fare a pezzi. Era un’anima gentile intrappolata in un corpo da combattente. Cercava costantemente la compagnia degli uomini, accettava dal loro il cibo – come era d’usanza affinché imparasse a fidarsi dei soldati – e tuttavia non sembrava mai veramente a proprio agio. In quella sua ricerca di vicinanza con gli umani sembrava che cercasse conforto da quella sorte avversa che ci aveva voluti tutti, uomini e cani, in quel luogo orribile.
Un giorno, passando accanto al recinto dove si addestravano i cani, sentii piangere e seppi che era lei prima ancora di vederla. Un uomo la stava picchiando con un bastone. Scavalcai la recinzione e mi avventai su di lui come una furia. Non so perché me la presi tanto, prima di quel momento non mi ero mai interessato alle sorti dei cani e per quanto ne sapessi Kyra non era il primo cane riluttante che capitava tra le mani degli addestratori. Dovettero separarci. La sera stessa andai dal centurione e chiesi il permesso di prenderla con me, gli dissi che mi sarei occupato personalmente dell’addestramento. Lui, inizialmente, non ne volle sapere. Insistetti, gli dissi che avevo esperienza, che la mia famiglia allevava da sempre cani nei pressi della città di Calatia. Erano menzogne, la mia famiglia non aveva mai avuto a che fare coi cani e io non avevo la più pallida idea di come se ne addestrasse uno, volevo solo che quella storia finisse. Il centurione mi disse che ci avrebbe pensato.
Qualche giorno dopo, mi fece chiamare. Quando arrivai nella sua tenda ci trovai Kyra con l’addestratore cui era stata affidata. “Tito” disse il centurione indicando l’uomo “dice che questo cane non è buono per la guerra: rifiuta l’addestramento e ha paura della sua ombra. Hai detto di essere bravo coi cani, vediamo se è vero.”
E così dicendo mi porse la corda alla quale era legata.
Tito, l’addestratore, mi sorrise con aria sprezzante.
Io lo ignorai, ringraziai il centurione e uscii dalla tenda con Kyra.
Quel giorno, iniziò per entrambi una nuova vita.
Poiché non sapevo niente di addestramento e mi rifiutavo di picchiarla per farmi obbedire, rinunciai a fare qualunque cosa che non fosse passare del tempo insieme a lei, che mi seguiva ovunque e non si allontanava mai da me.
Diventammo inseparabili.
Purtroppo, una mattina di aprile ricevemmo dal Comando il dispaccio con l’ordine di marcia. La legione andava in guerra. Il momento che avevo tanto temuto era infine arrivato. Quella mattina, mi inginocchiai accanto a Kyra, le presi la testa tra le mani e la guardai negli occhi. “Qualunque cosa accada, tu resta con me. Andrà tutto bene, te lo prometto.”

La foresta davanti a noi brulicava di nemici.
Un suono cupo e gutturale attraversò il campo di battaglia infrangendosi contro le nostre palizzate. I veterani del catrum me ne avevano parlato ma non avevo mai sentito con le mie orecchie il terrificante urlo di guerra dei barbari. Nessun racconto si avvicinava minimamente alla realtà. Kyra, sentendolo, si schiacciò a terra terrorizzata. Incrociai lo sguardo di Tito, che scosse la testa e mi rivolse una smorfia disprezzo.
Il centurione diede l’ordine di avanzare.
Noi conduttori dovevamo precedere la fanteria coi cani ma Kyra non ne voleva sapere di muoversi. Fu quella, credo, l’unica volta che la trascinai con la forza. Non avevo scelta ma provai ugualmente vergogna e disgusto di me stesso. Quando Tito diede l’ordine di sciogliere le catene, Kyra anziché balzare in avanti come gli altri cani scappò e si dileguò nella foschia che avvolgeva il campo di battaglia. Mi ritrovai da solo in mezzo al campo di battaglia, disorientato e terrorizzato dall’idea che potesse accaderle qualcosa. Non mi accorsi del gigantesco guerriero nemico che mi correva incontro finché non lo ebbi addosso. Sarei stato sopraffatto se Kyra, spuntata all’improvviso dalla foschia come un terrificante spirito di vendetta, latrando e ringhiando come mai aveva fatto prima, non si fosse avventata su di lui. Purtroppo, il guerriero le piantò la spada nel costato, uccidendola sul colpo. Il mio il cuore andò in pezzi. Mi rialzai, feci in tempo ad avvicinarmi a lei, avrei voluto raccoglierla e portarla via da quell’inferno ma un altro guerriero nemico si avventò su di me…”
Mi sono svegliato di soprassalto.
È possibile che sia stato solo un sogno ma qualcosa mi dice che non è così. Solo ora, infatti, capisco tante cose. Come il fatto che quella mattina di quattro mesi fa, in una casa sperduta in mezzo alla campagna veneta, mentre accarezzavo il cucciolo che avevo deciso di prendere con me, dissi una cosa che sul momento non capii: “Scusa se non ho mantenuto la promessa.” Lei mi aveva appoggiato la testa sulle gambe e io mi ero sentito improvvisamente sollevato, liberato da un peso enorme e invisibile, un’angoscia che mi accompagnava da sempre e della quale mai ero riuscito a capire l’origine. La sensazione di sollievo era la stessa di quando si viene perdonati di una colpa. Forse è stato così. Il destino ci stava offrendo una seconda occasione. Le nostre anime, tenute a lungo separate, si erano finalmente ritrovate e riconciliate.


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