“All the love and kisses and cuddles can’t change
the genetics of where they come from.”
Stephanie Vichinsky
Nella seconda parte di questo articolo ho accennato alla tendenza, diffusa tra i proprietari di cani appartenenti a determinate razze, di alimentare coi loro contenuti una retorica buonista e sdolcinata rispetto alla quale sono diventato molto critico. In questo articolo, terzo e ultimo della serie dedicata ai motivi per cui, tra tanti cani, ho scelto proprio un Rottweiler, spiegherò quali sono stati i fattori che hanno determinato questo giudizio critico e perché ritengo che una certa rappresentazione del cane – soprattutto di certi cani – faccia più male che bene alla loro reputazione.
Convinto, da sempre, che la verità vada cercata nel complesso spazio tra gli estremi, a un certo punto della mia ricerca decisi di rifiutare sia i pregiudizi che le smancerie, cercando di guardare ai cani al di là della loro rappresentazione di parte per capire come stessero effettivamente le cose. In questo – non smetterò mai di dirlo – fondamentale è stato il supporto delle specialiste che ci hanno seguito nel percorso educativo di Kyra, che mi hanno fornito informazioni qualificate e indirizzato alle fonti corrette.

Una cosa che mi preme precisare riguardo alla retorica sul cane, soprattutto quella su determinate razze, riguarda la tipologia degli utenti coinvolti. Non mi riferisco a quei proprietari che, in buona fede, condividono momenti piacevoli insieme al loro amico a quattro zampe, senza secondi fini, per il mero piacere di condividere. Mi riferisco agli altri, quelli animati dal desiderio di riabilitare la reputazione dei propri cani prendendo le distanze dagli stereotipi negativi che li caratterizzano nell’immaginario collettivo, spesso sortendo l’effetto di generare controstereotipi positivi che, oltre a essere fuorvianti, possono anche diventare pericolosi. All’interno di questo gruppo ho individuato tre sottogruppi.
SOTTOGRUPPO 1: I candidi
Sono quelli che eccedono in senso opposto allo stereotipo suddetto, bombardando i gruppi FB cui sono iscritti di fotocomposizioni dozzinali accompagnate da didascalie stucchevoli, secondo i quali i cani sono esseri angelici inviati sulla terra per portare amore nelle nostre vite. Che sarà sicuramente vero, ma come la mettiamo col fatto, per usare le parole di Elena Garoni, che hanno la testa grande come il coperchio di un secchio della spazzatura e la dentatura di uno squalo bianco? Per i candidi questo non è il risultato di una selezione genetica orientata ad ottenere cani con quelle caratteristiche; per loro, come direbbe il lupo di Cappuccetto Rosso, quei denti servono per sorriderci meglio e diffondere ancora più amore. Sono irrecuperabili.
SOTTOGRUPPO 2: I negazionisti
Sono quelli che si oppongono alla stigmatizzazione del proprio cane senza portare nessun argomento concreto a sostegno della tesi contraria, solo la loro esperienza e una fede cieca nei propri argomenti. Sono crociati dei luoghi comuni, autoreferenziali e ottusi, rifiutano qualunque confronto con chi non è disposto a dare loro ragione. Sono i peggiori con cui confrontarsi.
SOTTOGRUPPO 3: Gli ipocriti
Sono quelli che mi piacciono di meno, perché sulla forzatura, sull’umanizzazione e sull’edulcorazione dell’immagine del cane hanno costruito la propria fortuna, consapevoli – per dirne una vista di recente – che un pitbull in felpa col cappuccio, collana e occhiali da sole attira più like di uno intento a contendersi una treccina col suo padrone. Non gli interessa riabilitare l’immagine del cane agli occhi dell’opinione pubblica, gli interessano solo le visualizzazioni e i like, ai quali sono disposti a sacrificare la dignità del proprio cane.


Questi contenuti, che da un lato sembrano favorire una percezione positiva del cane perché non lo rappresentano come un mostro assassino, a mio avviso sono dannosi perché l’immagine che viene proposta corrisponde a una costruzione parziale, artefatta e non veritiera. Il ruolo del cane all’interno della famiglia ne esce mortificato [Kodami ha dedicato all’argomento dell’umanizzazione del cane un bellissimo articolo, di cui consiglio la lettura anche se non ne avete uno] e inoltre s’inducono gli altri utenti nell’errore di credere che certe componenti importanti del suo ricco e variegato patrimonio motivazionale possano restare inappagate senza rischi. Se c’è, infatti, una cosa che ho capito in questi mesi è il fatto che un cane è veramente felice quando sono appagate le sue motivazioni ed è equilibrato se queste ultime sono bilanciate. Se volete farvi un’idea di cosa siano queste motivazioni, di cui ho parlato così spesso in questa serie, vi rimando a questo articolo di Elena Garoni, autrice tra l’altro dello splendido “Piacere di conoscerti”, che vi consiglio.
Nel Rottweiler, per esempio, la motivazione competitiva è molto forte e il suo appagamento richiede attività dedicate. Una di queste è il gioco del tira e molla. Non ho scelto questo gioco a caso, l’ho scelto perché è uno di quelli più discussi, che può attirare critiche da parte di altri proprietari [successo] e occhiate di biasimo da parte dei passanti [successo anche questo]. Soprattutto nel secondo caso, credo che sia imputabile al fatto che il gioco in questione mette in mostra due caratteristiche del cane che non sono tra le più apprezzate dal pubblico buonista; una è la fisicità e l’altra la più esecrabile in assoluto: il morso.

Nella rappresentazione edulcorata cui ho accennato sopra, si tendono infatti a nascondere le caratteristiche che possono risultare socialmente poco attraenti a favore di altre più rassicuranti, anche a costo di proporre un’immagine del cane snaturata e irrealistica.
Con questo non sto dicendo che tutti dovrebbero fare il tira e molla ma che se una certa attività, svolta e contestualizzata nel modo corretto, risulta appagante e divertente per il cane, negargliela per assecondare una nostra idea di quelle che dovrebbero essere le attività condivise significa mettere i nostri bisogni davanti ai suoi. Io, comunque, lo pratico con Kyra regolarmente, anche se non tutti i giorni, alternandolo con altri giochi e seguendo le indicazioni ricevute a suo tempo dalla nostra educatrice per bilanciare competitività e collaborazione e gli esempi visti in alcuni corsi che ho frequentato. È fondamentale – non mi stancherò mai di ripeterlo – che certe decisioni siano prese insieme a un professionista, che saprà consigliarci la modalità e la frequenza migliore con cui fare questo e altri esercizi.
“La motivazione predatoria è il piacere e il bisogno di inseguire gli oggetti o i soggetti in movimento. La riconosciamo nella tendenza ad inseguire la pallina, ma anche nei cani che amano inseguire i runner”
Claudia Negrisolo, Kodami
La citazione introduce a un altro aspetto della vita del cane ingiustamente sacrificato sull’alare del like: la motivazione predatoria. Ebbene sì, per quanto sia più marcata in alcune razze e meno in altre, in generale nei cani sopravvive questo retaggio del lupo che li spinge a correre dietro agli oggetti in movimento. Il cane, insomma, è un capoccione, non ne vuole sapere di rinunciare al suo passato per farci contenti, non si rassegna e ogni tanto rivendica la sua eredità ancestrale. E noi? Noi dobbiamo farcene una ragione, ma possiamo insegnargli a canalizzare questo suo istinto in contesti e momenti specifici, in modo che sia appagato e questi non prenda di mira oggetti e persone in movimento random. Come? Con il gioco, al solito. Uno che possiamo fare consiste nel lanciare qualcosa in mezzo a uno spazio aperto, che può essere un giocattolo, un salamotto o – come mi suggerì a suo tempo la nostra educatrice – una palla di stracci sulla quale il cane possa sfogarsi. Io lo faccio di solito sempre negli stessi posti, tanto che Kyra ormai quando ci siamo si mette seduta e mi guarda, aspettando che inizi il gioco. Se poi non inizia – indipendentemente dai motivi – a seconda della giornata Kyra può o meno esibirsi nel suo repertorio di manifestazioni di frustrazione che ricordano i capricci dei bambini, ma questa è un’altra storia. Dicevo, si lancia l’oggetto e il cane parte all’inseguimento, replicando una versione grossolana [1] della fase finale della sequenza di predazione. Oltre che appagante per il cane è anche molto divertente.
Ora che abbiamo spiegato come funziona proviamo a metterci nei panni di un passante qualunque, magari di uno che non ama troppo i cani o ne ha paura, che assiste alla scena. Dobbiamo accettare che possa esserne turbato. Si tratta, infatti, di attività ludiche nelle quali i cani esprimono, come nel caso del tira e molla, tutta la propria fisicità, e se nel caso di un bassotto la cosa può risultare divertente, quando si tratta di un grande molossoide le cose cambiano.
Ora spostiamo questa spiegazione sull’utente medio dei social e comprenderemo perché è più facile fargli accettare l’immagine di un American Bully che si fa mettere bavaglino e toque blance e attende, per mangiare, lo schiocco delle dita del proprietario, di quella di uno che si avventa su una palla di stracci e magari la scuote energicamente come fanno i lupi per uccidere la preda… Eh sì, siamo di nuovo lì.
Il cane è proprio un capoccione.
Con questi esempi spero di aver spiegato perché non condivido l’approccio banalizzante alla convivenza e alla narrazione della stessa da parte di certe personalità mediatiche che, col loro comportamento, fanno a mio avviso altrettanto danno di una pessima cronaca giornalistica. Lo dico con consapevolezza avendone sperimentato personalmente i danni nelle fasi iniziali della mia convivenza con Kyra. Il cane fa il cane, punto; sta a noi fare in modo che lo faccia in sicurezza e senza entrare in conflitto con le regole del vivere civile. Se non siamo in grado di insegnarglielo da soli, ci sono professionisti che possono aiutarci.
“Ma anche tu pubblichi foto di Kyra in atteggiamenti buffi o dolci!”
Io ricado nella prima casistica di proprietari descritta all’inizio dell’articolo, quelli che condividono per il piacere di farlo, senza secondi fini. Non vivo, infatti, dei proventi pubblicitari della mia pagina Instagram e non sento la necessità di fare compromessi col resto del mondo per fargi accettare la mia scelta di convivere con un cane come Kyra. Lei fa parte della nostra famiglia e se mostro quest’ultima mostro anche lei, per il piacere di farlo, non certo con la pretesa di esibirla quale esempio di come un cane dovrebbe essere. Inoltre, tra il sottoscritto e le suddette personalità mediatiche ci sono altre importanti differenze, la principale delle quali è il seguito. Le mie foto, infatti, hanno una diffusione limitata ai miei amici, persone che mi conoscono e che per lo più conoscono Kyra, le stesse che leggono anche il blog e sono quindi a conoscenza dei miei dubbi e dei miei errori di proprietario, del tempo e dell’impegno che dedico alla sua educazione, per la quale mi avvalgo della preziosa collaborazione di figure professionali specializzate. Sono solo all’inizio di un percorso lungo, in tempo per fare ancora tutti gli sbagli del mondo e l’ho sempre ammesso, come ho ammesso le nostre difficoltà, ho parlato degli aspetti più faticosi della convivenza e ho dedicato ampio spazio, qui e sui social, all’argomento della rappresentazione. In una giornata intera col cane possono verificarsi, per esempio, momenti nei quali è necessario intervenire per contenerne l’esuberanza o per ristabilire il rispetto delle regole. Kyra, in questo momento della sua vita è in piena adolescenza ed è un po’ come un bulletto che ogni tanto alza la cresta e bisogna farle capire, con autorevolezza e pazienza, che non ci si comporta così. Cose che, in una narrazione come quella di cui abbiamo parlato, non troverebbero mai spazio. Del resto, lo dicevano i latini che nulla res magna sine labore venit.
E con questo ho finito.
Spero di non avervi annoiato [non troppo] e prometto che dal prossimo articolo riprenderò parlerò anche di altro. Prima di lasciarvi, tuttavia, vorrei ringraziare due eroine senza nome, figure silenziose che sono comparse spesso sullo sfondo di questi articoli, che sono la veterinaria comportamentalista e l’educatrice che ci stanno seguendo nel percorso educativo di Kyra. Senza di loro, non solo lei non avrebbe superato tante sue difficoltà ma neanche noi due non avremmo gettato le basi di una relazione solida. Se doveste avere bisogno di loro, sono come l’A-Team: “[…] se avete un problema che nessuno può risolvere – e se riuscite a trovarli – forse potrete ingaggiare il famoso A-Team.” [chiedete a me e vi giro i numeri]
Grazie per avermi seguito fin qui e buone passeggiate a tutti!

[1] Grossolana perché il cane in quel momento agisce d’istinto ma gli manca quell’apprendimento, che nel lupo avviene in natura per imitazione dei soggetti adulti del branco, che gli consente di perfezionare la tecnica [Emanuela Diana, Il comportamento predatorio nel cane].


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