MinimiTermini

Il blog di Oreste Patrone


L’arte di impilare (a caso) le pietre

Sarà capitato a tutti d’imbattersi in una di queste costruzioni, durante una passeggiata. Di solito, si trovano in montagna o in riva all’acqua. Possono essere punti di riferimento, messi lì per indicare un sentiero o la sommità di un’altura, quindi svolgere una funzione utile, ma anche essere il risultato di un gioco, di un esercizio di equilibrio fine a sé stesso.
Andando spesso a camminare con Kyra in riva all’Isonzo ne ho notati molti, ultimamente – sempre di più – e mi sono chiesto quali fossero le origini e la storia di queste costruzioni.

La pratica di formare pile di pietre è molto antica; in ambito euroasiatico risale addirittura alla preistoria, dove le pile avevano prevalentemente valore commemorativo. I cairn – parola mutuata dalla lingua Scots – potevano avere dimensioni diverse a seconda degli scopi; pile molto grandi, vere e proprie colline artificiali, ospitavano ad esempio delle sepolture, come avveniva nel kurgan sarmata. In generale, l’uso delle pietre per scopi commemorativi e devozionali è attestato in tutto il mondo sin dai tempi antichi e si è protratto fino ai giorni nostri, essendo tutt’ora presente in molte culture. Nella tradizione ebraica, per esempio, esiste l’usanza di deporre delle pietre sulle tombe in segno di rispetto [chi non ricorda il commovente epilogo di Schindler’s List nel quale gli ebrei salvati da Oskar Schindler e i loro discendenti, accompagnati dagli attori che li avevano impersonati, posano una pietra sulla tomba di quest’ultimo]. In Mongolia, sono diffusi gli ovoo – letteralmente, cumuli di sassi – luoghi di culto sciamanico e punti di riferimento. Lo stesso stupa buddhista, in origine, era segnato da un cairn sommitale. Mentre cli Inuit e gli altri popoli della zona artica dell’America settentrionale utilizzano l’inukshuk come punto di riferimento.

Il lato oscuro dell’arte di costruire pile di pietre è emerso per caso, mentre ne approfondivo la storia.

In un articolo intitolato “Stone-stacking: cool for Instagram, cruel for the environment”, pubblicato su The Guardian il 17 luglio 2018, Patrick Barkham descrive il fenomeno delle pile di pietre, realizzate da visitatori estasiati e fotografate per i posteri, come una vera e propria piaga “Il turismo d’avventura e i social media” scrive Barkham “hanno creato una tempesta di pietre perfetta: le navi da crociera trasportano centinaia di visitatori in isole un tempo remote come le Orcadi, le Faroe o l’Islanda, e ogni passeggero brucia di desiderio creativo nel commemorare le proprie visite su Instagram“.

“Una foresta di pietre impilate distrugge tutto il senso della natura”, prosegue Barkham, “le pile sono un’intrusione, fanno pesare il nostro passaggio su altri molto tempo dopo la nostra partenza, è un’offesa alla prima e più importante regola dell’avventura nella natura selvaggia: non lasciare traccia.
Senza contare – e questo lo aggiungo io dopo mesi di martellamento da parte degli etologi di cui seguo le pagine Instagram – che lo spostamento anche di poche pietre, per altro per ragioni puramente esibizionistiche, può alterare o distruggere habitat della fauna selvatica.

C’è un altro aspetto che mi ha colpito.
Chuck Miller, sovrintendente del parco provinciale di Killarney, nell’Ontario, ha spiegato che la proliferazione di inukshuks costruiti da persone ben intenzionate ma ignoranti minaccia di portare gli escursionisti fuori strada. Tali costruzioni, infatti, nel parco hanno conservato l’antica funzione di indicare i sentieri. Considerato che il parco in questione ha un’estensione di poco inferiore a quella della provincia di Udine e che ospita, tra le varie specie, anche orsi neri e lupi, perdersi potrebbe essere un problema; perdersi perché qualcuno ha deciso di celebrare su Instagram il suo passaggio nel parco, un’assurdità.

Detto questo, prometto che non ne realizzerò più e spero che gli ometti che ho disseminato in giro negli anni non abbiano fatto perdere nessuno. Se non altro, dalle mie parti lupi non ce ne sono e se sbagli sentiero sull’Isonzo, dove ho concentrato la mia attività in passato, al massimo finisci alla Cospalat di Lucinico. Se dovesse succedere, chiamatemi e vi raggiungerò per offrirvi una birra a titolo di risarcimento.



Lascia un commento