In gioventù, mio padre lavorò come commesso in un importante negozio di abbigliamento del centro di Napoli. Guadagnava bene per l’epoca, poteva permettersi due vestiti nuovi all’anno e togliersi qualche sfizio, ma voleva di più. A vent’anni si mise in proprio e aprì una piccola impresa commerciale: comprava semilavorati di sartoria dai laboratori e li rivendeva ai negozi che confezionavano gli abiti finali. L’idea era buona, aveva anche acquisito diversi clienti, ma la sua impresa soffriva di quella che in termini tecnici si chiama sottocapitalizzazione – mezzi insufficienti rispetto agli obiettivi aziendali – e dovette chiudere.
Rimasto senza lavoro e deciso a lasciare Napoli, tentò il concorso nell’Arma dei Carabinieri e lo vinse. Dopo il corso allievi, venne assegnato al 13mo Battaglione Carabinieri “Friuli Venezia Giulia” – che sarebbe diventato in seguito Reggimento – e fece lì tutta la sua carriera.
Fu sempre ligio ai suoi doveri, irreprensibile nella condotta in servizio, rispettato dai superiori e dai colleghi – ricevette anche degli encomi – ma quella parte di lui che sopravvive in me, che è come una chiave di lettura per certi aspetti del suo mondo, sa che tutto questo, più che esprimere il suo amore per la divisa e i valori dell’Arma – che pure a modo suo amava profondamente – era espressione del suo bisogno di eccellere, qualunque fosse il contesto in cui operasse. Mio padre, semplicemente, non concepiva altro modo di fare il carabiniere che non fosse quello di essere il migliore di tutti i carabinieri. Detta così potrebbe sembrare una cosa bella, soprattutto in tempi come i nostri, nei quali l’ossessione per la performance ha infettato ogni ambito dell’agire umano, ma io ho sempre pensato che quel desiderio di affermazione scaturisse anche, in parte, dal bisogno di distogliere l’attenzione degli altri [e la propria] dalle sue fragilità. Agli uomini della sua generazione non era stato insegnato ad accettare le fragilità: erano considerate un difetto riprovevole, una vergogna da nascondere. Avevano un’idea dell’uomo, tanto più se padre di famiglia, monolitica e incrollabile: un monumento alla forza morale dietro la quale celavano, chissà quanti di loro, bisogni emotivi trascurati e debolezze inconfessabili. Io credo che ci fosse, in mio padre, molto più di quello che egli permetteva a sé stesso di mostrare e che la sua parte migliore sia rimasta sepolta sotto le fondamenta di quel simulacro per buona parte della sua vita.
I suoi silenzi dicevano molto più di quanto potessero spiegare le parole. Sapevo che il suo presente era inquinato dal rimpianto per un successo che sentiva di meritare e che aveva mancato, come se la vita gli avesse fatto un torto. Ricordo certi suoi discorsi e mi rammarico di non avere avuto, allora, la consapevolezza di oggi per dirgli che stava sprecando il suo tempo, inseguendo certe cose. Per tutta la vita aveva aspettato una seconda occasione, quel treno che si dice passi per tutti e che nel suo caso sembra perennemente in ritardo. Forse solo negli ultimi anni, anche a causa della malattia di mia madre, si scontrò con l’evidenza che la vita prende atto dei nostri piani ma non è tenuta ad assecondarli.
In “Siddharta” di Herman Hesse c’è un passaggio in cui Vasudeva, il barcaiolo amico del protagonista, lo ammonisce dicendo che egli non aveva commesso certi errori affinché suo figlio non li commettesse a sua volta; che gli errori fanno parte del processo di crescita di ogni individuo e quindi Siddharta deve lasciare che suo figlio segua la propria strada. Io ho seguito la mia e ho sbagliato tantissimo, più di quanto avrei voluto, ma ora come ora, quando ripenso a mio padre, capisco quanto avesse ragione Vasudeva. Mio padre non pretese mai da me che non ripetessi i suoi errori, ma non ce n’era bisogno, perché sono stati da soli un monito e un’esortazione ad accettare quello che sono e a fare tesoro del mio presente, senza pregare che qualcuno o qualcosa arrivasse a cambiare una vita che non sarà perfetta, ma è senz’altro giusta. Come è stata la sua.
[In memoria di Antonio Patrone, M.llo 10/03/1948 – 29/12/2020]


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