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Il blog di Oreste Patrone


La Roženice di Dragan

Durante una delle nostre recenti passeggiate sul Calvario, mio figlio ha notato un pezzo di legno dall’aspetto insolito. Presentava una serie di fori allineati lungo l’asse e ricordava vagamente un flauto. Incuriositi, lo abbiamo mostrato a un amico appassionato di musica, che ci ha consigliato di farlo vedere a un antropologo di sua conoscenza.

Ci siamo incontrati un pomeriggio a Gradisca, davanti a un caffè. 
Dopo aver esaminato il pezzo di legno, l’antropologo ha confermato che si trattava probabilmente dei resti di uno strumento musicale, forse una ciaramella, sebbene fosse difficile stabilirlo con certezza. Poi si è ricordato che in Istria era diffuso uno strumento a fiato simile, ha detto che a casa aveva un libro che ne parlava e avrebbe fatto qualche verifica.

Nel frattempo, ho proseguito le ricerche per conto mio e mi sono imbattuto in un articolo di Tvrtko Zebec, ricercatore dell’Institute of Ethnology and Folklore Research di Zagabria, in cui si accennava a strumenti molto simili, le Sopele. Gli ho scritto e lui, con grande cortesia, ha gettato un altro ponte mettendomi in contatto con un suo amico che vive sull’isola di Krk, luogo d’origine di questi strumenti, che ne è costruttore e suonatore. Dopo aver esaminato le foto che gli avevo inviato, quest’ultimo ha ipotizzato che si trattasse di una roženice, una variante istriana della sopila diffusa, in particolare, nella regione di Pasjak. Questo darebbe ragione al nostro antropologo. Lo strumento potrebbe essere arrivato attraverso la Valle dell’Isonzo, forse portato da un soldato. Tuttavia, secondo lui, l’oggetto potrebbe essere più antico.

Non posso dire di aver risolto il mistero, perché l’identità di chi suonava quello strumento resta sconosciuta [Dragan è un nome di fantasia]. M’immagino tuttavia un uomo, capitato qui chissà per quale motivo, che cercasse di ricreare con quelle note un po’ dell’atmosfera di casa. Forse aveva costruito lui stesso quello strumento, intagliando un pezzo di legno, o forse lo aveva portato con sé da casa sua. Non sappiamo niente di lui, ma in qualche modo è riuscito ad arrivare fino a noi attraverso quel frammento che ha resistito al tempo per farsi trovare e riempiere la mia testa di domande senza risposta. Che poi forse è questo il destino di certi oggetti: sopravvivere a chi li ha posseduti, custodirne la memoria e riaffiorare non a caso, ma al momento giusto, al passaggio di qualcuno disposto a restituirgli dignità prestando ascolto alla loro storia, anche quando il tempo l’ha ridotta a un sussurro. 

Penso alla medaglietta della Madonna di Montevergine che ho perso mesi fa proprio sul Calvario, che attenderà chissà quanto prima che qualcuno la trovi – ammesso che qualcuno la trovi – e mi chiedo se, in fondo, non siamo tutti Dragan: anime in cammino, che attraversano luoghi e tempi lasciano dietro di sé, spesso senza volerlo o senza rendersene conto, frammenti di vita e tracce di quello che siamo stati. In ogni frammento che lasciamo lungo il nostro cammino c’è forse la speranza silenziosa che qualcuno un giorno lo raccolga, si interroghi su di noi e, magari solo per un istante, ci riporti in vita.



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