Nel cinema, come nella letteratura, potenza e grandezza sono spesso associate a figure oscure, signori del male la cui forza travolgente schiaccia ogni resistenza. Il potere, soprattutto quando si manifesta in modo spettacolare, viene istintivamente percepito come minaccioso. Pensiamo a Sauron, che nel prologo de La Compagnia dell’Anello abbatte decine di soldati di Gondor con un solo colpo della sua mazza. Oppure a Voldemort che, durante l’attacco dei Mangiamorte al Ministero della Magia in Harry Potter e l’Ordine della Fenice, trasforma la fiamma evocata con un incantesimo in un serpente che esce dalla sua bocca, come uno sputafuoco da circo, con il solo scopo di renderla più terrificante e scenografica. E poi c’è Il Cavaliere Oscuro, dove il Joker di Heath Ledger – impossibile non menzionarlo – orchestra una rapina in banca che ridefinisce il concetto stesso di spettacolarità.
Nondimeno, la potenza non è sempre sinonimo di malvagità.
Uno degli esempi più emblematici si trova in Harry Potter e il Principe Mezzosangue, quando Albus Silente si erge contro un’orda di Inferi nella caverna dove Voldemort ha nascosto uno degli Horcrux, il medaglione di Salazar Serpeverde. Con Harry sopraffatto e trascinato sott’acqua, quando tutto sembra perduto, Silente scatena un anello di fuoco che si espande intorno a lui come una tempesta, incenerendo le creature. È una scena visivamente grandiosa: il fuoco si solleva come un bastione ardente, mentre lingue di fiamma si staccano per colpire gli Inferi, trasformando la sua magia in un’imponente manifestazione di forza
Come già accaduto nel quinto film, Silente mette da parte i panni del saggio e pacato mentore che conosciamo per rivelarsi, ancora una volta, un guerriero capace di scatenare una forza quasi mitologica. Quando Voldemort fa sul serio, incute terrore. Ma quando tocca a Silente, sembra che non esista un limite a quello che è in grado di fare. Non è solo paura quella che suscita, è qualcosa di più sottile e complesso: è un timore reverenziale, la consapevolezza della sua grandezza che travalica la semplice minaccia. C’è, inoltre, una differenza sostanziale tra i due: mentre Voldemort usa il proprio potere per dominare e distruggere, Silente lo impiega per proteggere e solo quando è indispensabile.
In un certo senso, usare il potere per sopraffare è una sua degradazione, come se ridurre il potere a mero strumento di prevaricazione fosse l’uso più povero e sprecato che se ne possa fare. La distruzione, in fondo, è l’uso più immediato del potere, il più istintivo e brutale. Al contrario, un potere esercitato con gratuità, generosità e senso di responsabilità, anche quando si manifesta in modo spettacolare, come accade con Silente, non incute solo timore, ma ispira meraviglia e ammirazione. È un potere che non schiaccia nessuno, ma eleva; che non induce sottomissione, ma desiderio di emulazione. Ed è in questa differenza che si misura la vera grandezza e si afferma la superiorità di Silente su Voldemort, non solo dal punto di vista morale – il che sarebbe scontato – ma anche sul piano della magia stessa.
Questo momento ci ricorda che il bene non è sempre gentile e sommesso, che non si tratta solo di sacrificio e rinuncia. Il bene può essere feroce, quando serve; può richiedere grandi imprese, può aver bisogno di guerrieri disposti a combattere. Silente, in quel momento, dimostra di essere il più grande dei guerrieri. Con il suo cerchio di fiamme, egli è la prova che la ferocia non è prerogativa del male.
Il mondo, talvolta, ha bisogno di persone capaci di atti straordinari per contrastare l’oscurità.
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