Quando parlo di un film, non mi interessa valutarne pregi e difetti secondo criteri oggettivi – non sarei in grado e MinimiTermini non ha quella vocazione – ma raccontare quello che ha significato per me. Esistono infatti opere che, pur senza ambire alla profondità o all’innovazione, toccano corde personali e si fanno ricordare. Ghost Rider è uno di questi: un film discutibile dal punto di vista artistico, che tuttavia occupa un posto speciale nel mio immaginario e rientra tra i miei dieci preferiti in assoluto.
Johnny Blaze, il protagonista, è uno stuntman che vende la propria anima a Mefistofele per salvare la vita del padre Barton. Ma non ha considerato l’astuzia del suo interlocutore: Mefistofele cura effettivamente il cancro di Barton, ma poco dopo l’uomo muore in un incidente durante uno spettacolo. Segnato dalla perdita e dal peso della sua maledizione, Johnny è costretto a fuggire dagli affetti, abbandonando persino Roxanne, l’amore della sua vita. Il suo destino lo raggiungerà ventun anni dopo, quando Mefistofele lo reclamerà come Ghost Rider, lo spirito di vendetta destinato a dare la caccia ai dannati. Il suo primo incarico consiste nel fermare Blackheart, il crudele figlio del demonio, deciso a impadronirsi del contratto di San Venganza e scatenare l’inferno sulla Terra.
La mia scena preferita, quella che per me vale tutto il film, è quella in cui Carter Slade, il precedente Ghost Rider, si rivela a Johnny per consegnargli il contratto, che teneva nascosto nel manico della pala con cui scavava le fosse del cimitero: “San Venganza’s 500 miles from here. We’d better get going.”
La cavalcata finale, con Johnny in sella alla sua ruggente Hellcycle [Harley-Davidson Panhead] e Slade sul suo cavallo fiammeggiante, è visivamente spettacolare. Sarebbe perfetta se non fosse per la colonna sonora d’ispirazione western, che ne smorza l’impatto.
Con la sua ultima trasformazione, Slade non solo aiuta Johnny nella sua missione, ma suggella anche il passaggio del testimone, intrecciando passato e presente e rafforzando la continuità della leggenda del Ghost Rider. Il personaggio di Slade è affascinante anche per il rimando al mito del cavaliere solitario. Il suo isolamento è un sacrificio necessario, per custodire il segreto del contratto in attesa del momento propizio e dell’occasione per redimersi. Slade, con il suo ultimo atto, incarna tutto questo: un uomo che ha attraversato il tempo e il fuoco, che si è spogliato di tutto e che sceglie di chiudere la sua storia con un’ultima cavalcata: “I’ve got one last ride left in me.” Slade non è un eroe, ma in quel momento incarna la volontà di chi non si arrende alla propria fine scegliendo di concludere il proprio viaggio con un ultimo atto.

Preso per quello che è – un prodotto di puro intrattenimento – Ghost Rider riesce a essere coinvolgente e, in certi momenti, persino memorabile, trovando il suo apice in scene come quella di Slade, che è rimasta impressa nella mia mente. Non guardarlo non cambia nulla, ma se gli date una possibilità potreste scoprire che, dopotutto, qualcosa di lui ti rimane.
Let’s ride!


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