Alcune [vere] domande a cui fatico a dare risposta
Recentemente ho seguito – o meglio, provato a seguire – un webinar. Non entrerò nei dettagli sul tema, per evitare che diventi troppo semplice risalire al promotore dell’evento; diciamo soltanto che si trattava di un argomento legato alla relazione. Già questo, in condizioni normali, basterebbe a tenermi incollato fino alla fine della presentazione, anche solo per ascoltare un punto di vista diverso dal mio. In genere, penso che ci sia [quasi] sempre qualcosa da imparare.
Eppure, stavolta non ce l’ho fatta. Dopo circa un’ora, ho chiuso. Un fatto piuttosto raro, per me.
Fin dai primi minuti ho avvertito una distanza troppo grande tra la mia idea, forse ingenua, di relazione e quella proposta. L’esordio, col concetto di “gerarchia” ha scavato subito un solco molto profondo tra me e il relatore, soprattutto per il modo rigido con cui è stato presentato. Inoltre, molte delle regole proposte per la convivenza mi sono sembrate scollegate dal nostro modo di vivere insieme, intendo mio e di Kyra. Se è vero, da un lato, che più volte è stato incoraggiato il dialogo, è anche vero che un’affermazione come “sfido chiunque a smentire che nei branchi esiste la gerarchia” non è proprio il miglior invito al confronto. Non so voi, ma a me, quando sento quel tono da verità scolpita nella pietra, passa un po’ la voglia di dialogare.
Così ho iniziato a fare fatica.
Non fraintendetemi: sono il primo a credere che in casa servano delle regole, dalle più semplici – tipo che il divano non è posto per giocare – a quelle più complesse, come la gestione condivisa degli spazi o delle risorse. Ma alcune regole, orientate al controllo più che alla convivenza, faccio proprio fatica a comprenderle. Forse sono stato fortunato, forse è stata Kyra ad insegnarmi che si può costruire fiducia anche senza esercitare quel tipo di controllo; tuttavia, anche ammettendo che esistano cani con bisogni diversi, ho il dubbio — e dico il dubbio — che certi approcci siano più funzionali a rassicurare noi umani che a far stare bene loro.
Sarei rimasto nonostante l’incrinatura iniziale se non fosse anche un certo punto è stato toccato un tema sul quale sono molto sensibile: l’addestramento alla difesa. Non è che non ne voglia parlare – anzi, ci torno spesso nei miei pensieri – ma ogni volta mi si accende dentro una certa inquietudine. Convivo con un Rottweiler e conosco bene le motivazioni di razza, la storia, quella bella e quella brutta, gli stereotipi e le potenzialità incredibili di questi cani. So che il morso è un comportamento naturale e so che va canalizzato. A casa nostra non sono mai mancati masticativi naturali e momenti di gioco strutturato [tipo tira e molla], proprio per dare uno sfogo costruttivo a quella spinta innata. Ma una cosa è questo, un’altra è l’addestramento con la manica.
In tanti video che ho visto, la scena è sempre simile: un cane in stato di allerta, con lo sguardo fisso sull’addestratore, anche dopo il finto saluto con il proprietario. Lo controlla, lo sorveglia, non si rilassa nemmeno quando tutto sembra finito. Cammina all’indietro pur di non perderlo di vista. E poi, al gesto prestabilito, scatta e lo atterra. So bene che c’è una sequenza, uno “stimolo discriminante”, come si dice, ma continuo a chiedermi: è davvero sano, per un cane, vivere in uno stato di costante allerta ogni volta che un estraneo si avvicina al suo umano?
Forse ci sono contesti dove ha senso: cani da lavoro, da supporto in ambiti militari o di sicurezza. Ma quanti sono, davvero, i cani che vivono quelle situazioni? Quanti di noi hanno davvero bisogno di un cane da difesa? Dove viviamo, di preciso? Io sto in una periferia tranquilla di Gorizia, dove — giuro — il pericolo più serio sono le buche nei marciapiedi.
E no, non accetto la risposta implicita: “allora non dovevi prenderti un Rottweiler”. Non ci sto. Perché questi cani non sono mica armi. Sono stati selezionati per lavorare al fianco dell’uomo, certo, ma in mille modi diversi, non solo nella sorveglianza. Cerberus , il pastore belga malinois che compare anche in uno dei dialoghi di Me&Kyra, è un cane soldato, vive in un mondo in guerra. Ma noi? Davvero abbiamo bisogno di tutto questo? O siamo noi, piuttosto, a dover essere difesi da certe rappresentazioni? Non lo so. Sono solo molto perplesso.


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