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Il blog di Oreste Patrone


Io ci sono ancora

Recentemente, entrando in un negozio di moda di strada [so che suona orrendo ma l’altra espressione, quella inglese, proprio non la sopporto], ho notato che il commesso, un ragazzo sulla ventina, mi ha squadrato dalla testa ai piedi. Sembrava sorpreso di vedermi lì. Mentre guardavo una felpa col cappuccio, ci ha tenuto a spiegarmi che quel tipo di abbigliamento veste largo. Nel caso non lo sapessi. Lui. A me.
Gli ho chiesto se conosceva le origini di quello stile. 

“La titolare ha aperto il negozio cinque anni fa.”
“Non ti ho chiesto quando avete aperto. Ti ho chiesto se sai come è nato questo modo di vestire.”

Si è stretto nelle spalle con l’aria di chi non aveva molto interesse a proseguire quella conversazione e ho lasciato perdere. Secondo lui, quel modo di vestire era nato insieme al negozio, qualche anno prima, probabilmente nello stesso periodo in cui i suoi genitori gli avevano tolto le rotelline alla bici. Magari dall’intuizione di qualche creativo di un brand giovanile. 

Quello stile, avrei voluto dirgli, è nato cinquant’anni fa ai margini delle strade americane, nei ghetti, come risposta alla povertà. I vestiti si passavano da un fratello all’altro, anche se erano due taglie in più. Era necessità, non moda. Solo in seguito è diventato cultura, quando artisti che si vestivano così hanno cominciato a dominare la scena. È nato così lo stile hip-hop. E io, in quello stile, mi ci sono riconosciuto da subito, non come chi oggi lo guarda da fuori e decide di provarlo per dare un tocco street al guardaroba.

Collane, orecchini e felpe col cappuccio non sono un tentativo di sembrare giovane. Io non voglio sembrare niente e non sto inseguendo una cultura: io ci vivo dentro dall’inizio. Sono cresciuto con l’hip-hop, mi sono formato in quel mondo. Sono figlio della Golden Age, quella vera. LL Cool J, Big Daddy Kane, Run DMC, Public Enemy, A Tribe Called Quest. Ho visto nascere il gangsta rap, ho visto Ice-T diventare leggenda. So che parlo di cose di cui non avete idea. È proprio per questo, che dovreste portare rispetto.

Io c’ero quando in Italia le prime Posse cominciavano a prendere forma. Quando dal reggae e dal raggamuffin germogliavano le prime radici del rap nostrano — quello urbano e viscerale delle crew lombarde, quello mediterraneo e solare delle posse salentine, quello arrabbiato e militante dei centri sociali napoletani. Ho visto Neffa dare al mondo una canzone come Aspettando il sole e poi mollare tutto per reinventarsi. Gli Articolo 31 e la Spaghetti Funk esplodere. I Sottotono trovare la loro voce, perdersi e ritrovarsi. Dalle periferie di tutta Italia fino al prime time di Sanremo. Io c’ero.

Se oggi indosso certi segni e certi codici, non è per sembrare quello che non sono; semmai è per non tradire ciò che sono sempre stato. Mi dispiace per chi pensa che certe cose siano prerogativa dei giovani — quei giovani che spesso non sanno niente del mondo che ha generato lo stile che indossano — ma è un problema suo.

Il mondo degli induisti è nato dall’Om.
Il mio è nato dal fischio che annuncia di Jump Around degli House of Pain.

E ogni volta che parte quel fischio, io ci sono ancora.

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4 risposte a “Io ci sono ancora”

  1. sono commosso!

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    1. E ci sei ancora anche tu!

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      1. mi è tornato in mente di colpo il passaggio : who’s the best dj? LL cool J, the number one? Run DMC!…

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  2. […] Il mio ultimo articolo mi ha fatto riflettere su una cosa, ovvero sulla difficoltà di rimanere fedeli a se stessi quando le circostanze richiedono di adeguare il proprio comportamento o il proprio stile a un certo codice. Se, da un lato, in molti contesti — partendo dalla scuola passando per la televisione e i social — l’espressione individuale viene incoraggiata, dall’altro siamo consapevoli che la nostra società filtra costantemente i tratti del nostro aspetto, siano essi naturali o artificiali. Non tutti i simboli sono accolti nella stesso modo: un abito particolare, un piercing o un tatuaggio possono essere letti in modo diverso a seconda di chi li osserva e del luogo in cui ci troviamo. […]

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