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Il blog di Oreste Patrone


Chi è senza peccato

È di oggi la notizia di un cane che risulta disperso dopo essere scivolato in un crepaccio durante un’escursione su un ghiacciaio sulle Alpi Gaie. La dinamica dell’accaduto non è chiara e la notizia non fornisce molti dettagli. Ciò nondimeno, la tempesta di commenti che segue l’articolo è arrivata puntuale come la sveglia la mattina presto.

C’è chi quasi si compiace dell’accaduto, scaricando ogni responsabilità sul proprietario, dando per certo che il cane non fosse legato; altri, invece, colgono l’occasione per l’ennesima predica generica sul fatto che i cani in montagna sono un pericolo, che la montagna è un pericolo soprattutto per gli inesperti. Tutte cose su cui potremmo discutere, ma il punto vero è un altro: questo fenomeno di commento generalizzato e compulsivo tipico dell’era digitale. Una volta, se avessi letto una notizia simile sul giornale, avresti potuto discuterne al massimo con le persone intorno a te.

Oggi, invece, quella conversazione privata si è trasformata in una tempesta globale di fango aperta a chiunque, ammantata dal richiamo alla sacralità del confronto democratico che in realtà si riduce una rissa distruttiva e inconcludente. A nessuno importa davvero del cane: ciò che conta è scagliare la propria pietra, reiterando il Vangelo secondo Giovanni [8,1-11] ma senza l’interferenza dirimente di quel guastafeste di Gesù.

Questa massa di commenti non è solo un sottoprodotto dell’informazione: è diventata parte integrante di un meccanismo che premia i post che generano molte interazioni e, di conseguenza, più polemiche e indignazione significano più visibilità. La lotta degli utenti nel fango diventa così funzionale all’autore, perché porta lettori e alza il rating del contenuto.

Il risultato paradossale di tutto questo è un sistema in cui la discussione tossica non è un effetto collaterale, ma una componente incentivata. Se l’intento fosse solo informare, i commenti sarebbero chiusi: io ti do la notizia, tu la leggi e ti fai la tua idea. Punto. Invece siamo intrappolati in un meccanismo perverso che alimenta se stesso, giorno dopo giorno.

Quello che importa è che ognuno abbia avuto modo di lanciare la propria pietra e di contare quanti like che gli sono rimbalzati indietro. 
Il cane, per il resto, può anche restare nel crepaccio. 

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