con il dott. Giuseppe Caserta, psicanalista
In un precedente articolo, mi ero divertito a rovistare nella letteratura scientifica per dimostrare che mostri giganteschi non potrebbero mai esistere. Le leggi della fisica, della biologia e della biomeccanica smontano l’idea di creature alte decine di metri, un paradosso che condanna Godzilla, King Kong e tutti i loro eredi alla sola dimensione della fantasia.
Eppure, a dispetto dell’impossibilità naturale, continuiamo a crearli. Li evochiamo nei miti antichi, nei poemi epici, nelle fiabe, nei fumetti, nel cinema. Creature che non possono esistere, ma che evidentemente devono esistere nella nostra immaginazione. È da qui che è nata la mia domanda: perché abbiamo bisogno dei mostri giganti? Da quale angolo remoto della nostra mente affiora questa attrazione per il colossale e il mostruoso? A quel punto ho pensato di chiederlo direttamente al nostro amichevole psicanalista di quartiere, dottor Giuseppe Caserta.
Caro Oreste, stavolta il compito è arduo.
Come puoi immaginare, non c’è nessun tipo di letteratura sull’argomento, ma questo non mi scoraggia!
Un mio professore all’università diceva sempre che la psicologia non è un manuale di istruzioni ma piuttosto una cassetta degli attrezzi e io intendo assolutamente utilizzarla così, specie in questo caso.
Partiamo da un presupposto: Jung diceva che molto spesso nella cultura possiamo intravedere le tracce di movimenti psicologici universali che lui identificava come i contenuti del cosiddetto inconscio collettivo, ovvero tutto quell’insieme di stratificazioni che avvengono nella psiche a prescindere dall’esperienza individuale. Per fare un esempio, i nostri istinti e determinati condizionamenti che possono avvenire a causa della nostra storia familiare, anche a partire da generazioni precedenti alla nostra, possono spingerci a rappresentare simbolicamente dei contenuti che si assomigliano incredibilmente tra di loro anche se le persone hanno avuto esperienze diverse o provengono da zone diverse. La rappresentazione immaginale di grandi mostri accompagna l’umanità fin dagli albori: pensiamo ai miti greci, dove creature possenti come l’Idra, oppure i titani o anche Cerbero rappresentavano delle sfide non da poco per gli eroi di cui si cantavano le gesta. Nel medioevo poi, leggende e fiabe dove imperversano draghi, manticore, grifoni e altre creature simili riempiono le pagine dei manoscritti dell’epoca.
Persino nella Bibbia possiamo trovare alcuni mostri: il Leviatano e il Behemoth sono creature giganti simbolo della potenza di Dio, così come il grosso pescecane che inghiotte il profeta Giona. È proprio da qui che vorrei partire con la riflessione psicologica: i mostri rappresentano un tipo di potenza che è al di là delle possibilità umane, associata spesso alla divinità oppure alla natura, ovvero a qualche forza che così soverchiante da distruggerci.

Anche nell’universo dei kaiju, essi vengono presentati come delle forze regolatrici che tendono ad apparire quando vi è uno sbilanciamento nell’ecosistema. Nel lungometraggio Netflix anime di Godzilla – dove una spedizione umana è costretta ad abbandonare la Terra a causa della distruzione portata dal mostro e vi ritorna 10.000 anni dopo soltanto per scoprire che egli è ancora lì – gli Exif, una razza aliena spiritualmente evoluta, informano i terrestri che Godzilla appare inevitabilmente quando la tecnologia raggiunge un punto così elevato da rischiare di diventare uno strumento di dominio assoluto sulla creazione. Credo che i mostri giganti rappresentino simbolicamente degli aspetti potenti e distruttivi del nostro inconscio, che se lasciati liberi provocherebbero distruzione, ma che se controllati possono favorire persino l’armonia della psiche. Guarda caso, sempre citando Godzilla, egli viene associato all’energia atomica, che è la forza più distruttiva ma al contempo quella più promettente per il futuro. Così come con la potenza dell’atomo, anche con i nostri mostri giganti interni possiamo decidere se scatenarli contro i nostri simili oppure se usarli in armonia con un sistema più ampio che garantisca un equilibrio senza sbilanciamenti.
Una cosa è certa: così come i kaiju o i mostri difficilmente si possono uccidere, così anche noi non possiamo sperare di controllare pienamente le forze dell’inconscio. Persino Eracle, l’uccisore di mostri per eccellenza, alla fine muore proprio per via del veleno che viene secreto dalla testa dell’Idra e che un centauro invidioso intinge in una freccia che poi lo colpirà. Bisogna insomma in qualche modo venire a patto con i mostri, che ci spaventeranno sempre un po’ e che nascondono delle energie potenti e primitive che indubbiamente fanno parte di noi, anche se ci ricordano la piccolezza del nostro fragile Io, emerso a fatica dalle paludi dell’inconscio nella notte dei tempi
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