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Il blog di Oreste Patrone


Il Guardiano del Tempio

Se c’è una cosa che ho sempre faticato a comprendere è l’aspirazione alla fuga che vedo in tanti uomini, soprattutto miei coetanei. Quel desiderio di evadere da una quotidianità, da un’atmosfera domestica vissuta come opprimente e limitante.

Per me non è mai stato così. Mi considero fortunato, perché il mio tempo più bello è sempre stato quello trascorso a casa, con la mia famiglia. Persino quando uscivo in bicicletta vivevo un conflitto interiore e ogni chilometro era un compromesso tra la voglia di pedalare e il dispiacere di sottrarre quel tempo a noi. Non era mai una decisione leggera, ma un continuo bilanciamento fra due desideri opposti.

Restare a casa non significa stare costantemente addosso gli uni agli altri, anche se ammetto che in generale tendiamo a stare abbastanza raccolti. Stefano, scherzando, dice che a noi basterebbe una di quelle Tiny House che si vedono nella serie su Cielo. A parte i momenti di ammasso, comunque, siamo anche molto ognuno per conto suo. Anche se non è enorme, casa nostra garantisce a tutti, animali compresi, adeguati spazi che abbiamo imparato a rispettare. Io la sera scrivo, Kyra mi fa compagnia o dorme in corridoio, mia moglie guarda la televisione in soggiorno, Stefano si dedica alle sue cose in camera sua. Le gatte si dividono fra il soggiorno e la camera di Stefano, ma spariscono anche in angoli misteriosi che conoscono solo loro. Tuttavia, anche in quei momenti c’è sempre un filo che ci unisce: una parola, una carezza, una battuta lanciata da una stanza all’altra, una grattatina dietro l’orecchio o un video ironico sul nostro gruppo WhatsApp The Patrones. Piccoli gesti che ci ricordano la presenza dell’altro. È questa connessione silenziosa a rendere la casa il nostro tempio.

Uso la parola tempio non a caso. Casa nostra è sacra perché custodisce ciò che per me è più sacro al mondo: la nostra famiglia. Ma un tempio non lo trovi già fatto, lo costruisci. Insieme. Giorno dopo giorno, imparando a rispettare noi stessi e gli altri, a riconoscere spazi e tempi di ciascuno. E come ogni tempio, anche il nostro richiede cura, attenzione e rispetto.

Una volta, un’amica psicologa mi disse che la scelta di un cane come Kyra non era casuale: in lei vedeva riflesso il mio desiderio di protezione. Kyra rappresenterebbe quella parte di me che vuole difendere il tempio e, forse, anche il bisogno di condividere questa responsabilità con qualcuno.

Non sento mai il bisogno di fuggire. Ogni minuto lontano da loro è una concessione che faccio al mondo esterno e perché valga la pena deve essere davvero importante. È anche per questo che frequento pochissime persone. Se qualcuno non ha abbastanza peso da giustificare il distacco dal tempio, semplicemente rinuncio a frequentarlo. Pochi mi capiscono; anzi, spesso mi è capitato di sentirmi accusare di non tenere abbastanza alle amicizie. Mi dispiace per chi lo pensa, ma ho smesso da un pezzo di preoccuparmene e di giustificarmi.

Per me esiste un mondo dentro e uno fuori e hanno pesi diversi. Punto. Ormai ho ristretto a una manciata di persone quelle a cui dedico volentieri il mio tempo, le stesse che hanno imparato che fuori casa entro in una sorta di asincronia che innesca un conto alla rovescia. Dopo un po’ finisco in riserva, divento insofferente e voglio andarmene. Lo capiscono e mi lasciano andare senza insistere. Tutti gli altri, sono sicuro che possono fare a meno di me nelle loro cene. 
Io sto bene così.

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