“Molto di ciò che era è perduto
perché ora non vive più nessuno che lo ricordi”
Galadriel
Negli articoli a mia firma apparsi recentemente su alcune riviste di diritto ambientale, c’è un tema ricorrente che non ha niente a che fare con l’analisi sistemica e l’ermeneutica delle fonti. È il tema del ritorno al passato.
È una cosa che non riguarda solo il diritto.
Qualunque argomento affronti, mi ritrovo sempre a scavare nelle radici per risalire all’origine. Non mi basta conoscere il presente, sento il bisogno di chiedermi dove e quando sia nato tutto.
La spiegazione più semplice di questa mia tendenza è che andare alle origini è un modo per dare senso a ciò che altrimenti rischia di sembrare frammentato o contingente. Una norma, per esempio, se vista in modo isolato, è solo un atto; se, invece, la collochi in un percorso storico ne diventa tappa, punto di passaggio ed espressione peculiare del clima politico e culturale del suo tempo.
Tuttavia, credo che ci sia anche un’altra ragione, più personale.
Scrivere, per me, non è mai stato solo un esercizio tecnico, ma la risposta all’esigenza di raccontare. E ogni racconto, anche quando riguarda una norma giuridica, non può prescindere da un’origine, da quel “C’era una volta…” che trasforma qualunque argomento in una storia. La mia sensibilità, maturata nella narrativa — prima da lettore e poi da aspirante autore — mi porta naturalmente a ricercare il filo che lega il presente a ciò che è venuto prima. È quel filo, secondo me, che rende la pagina più viva, più interessante, che restituisce a un argomento, in questo caso il diritto, la sua dimensione umana e storica.
C’è poi un ulteriore aspetto, che è la passione per gli enigmi.
Capire perché una disposizione è scritta in un certo modo, rintracciare la risposta nelle fonti e ricostruirne il senso, mi dà una soddisfazione paragonabile a una caccia al tesoro. Ricordo bene, quando decisi di scrivere la storia del Comitato Tecnico Regionale, l’emozione che provai, in biblioteca, consultando i vecchi Bollettini Ufficiali degli primi anni Ottanta. Quando finalmente trovai l’atto costitutivo del CTR, mi sentii come Gandalf nella biblioteca di Minas Tirith quando scopre la verità sull’anello di Bilbo.
Per questo, nei miei articoli c’è sempre un ritorno al passato. È il mio modo di radicare il presente, di non viverlo come un frammento isolato ma come parte di una trama che riguarda il diritto, ma anche un po’ della mia storia personale. Quello che ai lettori appare come un’analisi giuridica arricchita da prospettive storiche è, per me, anche una ricerca interiore, perché ogni enigma che si svela è una tessera in più che mi aiuta a risolvere il mio personale puzzle identitario.
L’avevo già scritto in un precedente articolo che gli argomenti non sono mai solo un contenitore di informazioni, ma il punto d’incontro delle persone che condividono certi interessi. E poiché la mia massima aspirazione autoriale è arrivare alle persone, nel senso di instaurare con loro un dialogo, un confronto, qualcosa che possa arricchire entrambi, sento che conoscere la storia significa abitare quel punto d’incontro con una consapevolezza diversa, più radicata e più viva. Che poi è la premessa indispensabile di qualunque percorso di crescita.
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