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Il blog di Oreste Patrone


L’eco altrui

In un precedente articolo ho parlato del valore del silenzio, di come tacere possa rappresentare, in certi contesti, una scelta dettata dal desiderio di non alimentare l’entropia generale, di smorzare i toni di scontri già abbastanza accesi. Il silenzio ci permette anche di osservare ciò che accade con una lucidità che chi è immerso nel confronto raramente riesce a mantenere. È stando ai margini che ho notato una cosa: negli scontri non agiscono soltanto coloro che scrivono e rispondono, ma anche quelli che intervengono orientando il confronto attraverso la condivisione di un post, di un pensiero, di un articolo altrui. Un gesto apparentemente semplice, che merita nondimeno una riflessione.

Condividere non è mai un gesto neutrale.
Può essere un modo per amplificare un messaggio che riteniamo giusto, per sostenere una voce più autorevole della nostra, per contribuire alla diffusione di un’idea che ci rappresenta. Può diventare una forma di supporto nei confronti chi ha trovato parole che noi non avremmo saputo usare. Nondimeno, può anche essere un modo più ambiguo di partecipare allo scontro, di colpire da lontano, senza esporsi, di far dire ad altri ciò che non vogliamo dire direttamente.

È qui che la condivisione rivela la sua zona d’ombra.
Perché, spesso, non significa solo informare o far circolare un contenuto. Significa colpire più forte, delegare l’attacco a voci più solide della nostra, brandire un apparato retorico altrui come arma, schermare il nostro dissenso dietro l’autorevolezza di chi parla al posto nostro. Una vera e propria delega aggressiva, in cui il gesto esteriore resta innocente, ma l’effetto risulta amplificato. L’algoritmo lo sa bene — anzi meglio di noi — e per questo ci offre nel feed una rastrelliera di colpi pronti per la guerra verbale.

Così lo scontro cambia natura.
Da guerriglia combattuta con arsenali verbali di fortuna, ma ancora personali, diventa guerra d’artiglieria: niente più schermaglie leggere, ma lanci balistici di opinioni con ambizioni definitive, fuoco incrociato di retoriche mercenarie che, nel loro peso, attribuiscono a chi le brandisce un’aura di autorità. E come nei conflitti reali, anche qui il crescendo rischia di degenerare nel silenzio dell’annientamento collettivo.

Nel frattempo, tra il desiderio di far circolare idee originali e l’uso strumentale della condivisione per colpire dove fa più male, ci siamo giocati gran parte del suo potere originario, quello di diffondere un pensiero utile, magari imperfetto. Ma nostro.

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Una replica a “L’eco altrui”

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