MinimiTermini

Il blog di Oreste Patrone


Il patentino che vorrei

“Per ogni problema complesso,
c’è sempre una soluzione semplice.
Che è sbagliata.”
George Bernard Shaw

Lo so, avevo promesso che per un po’ su MinimiTemini non si sarebbe parlato di cani. Cionondiméno, recentemente è accaduto un fatto al quale, alla luce anche degli articoli già dedicati all’argomento, mi sembrava giusto dedicare un po’ di spazio.
Ecco cosa è successo.

Nella seduta del Consiglio regionale del 23 luglio 2024, è stata presentata una mozione con la quale s’impegnavano il Presidente della Regione e la Giunta regionale a farsi da tramite con il Governo affinché, tra le altre cose, venissero colmate alcune lacune legislative in materia di prevenzione e tutela del cane e della sicurezza pubblica al fine di stabilire l’obbligo, per i proprietari di cani appartenenti a razze “potenzialmente problematiche”, di conseguire un apposito patentino. Prima di entrare nel merito affrontando la questione del patentino, vorrei soffermarmi sulle premesse della mozione. Il Consiglio, infatti, vista “l’ultima ed ennesima notizia di cronaca risalente al 26 maggio 2004 su un uomo che è stato aggredito e gravemente ferito […] dal proprio cane, un pitbull” e richiamati altri episodi analoghi avvenuti anche in Friuli-Venezia Giulia, rileva come i percorsi oggi esistenti, mirati all’accertamento delle condizioni psicofisiche degli animali e della corretta gestione di questi ultimi da parte dei proprietari, siano percorsi che si attivano in seguito ad episodi di aggressione o morsicatura, quando il cane si è già dimostrato pericoloso e, di conseguenza, non hanno carattere preventivo. Dà atto, inoltre, che gli stessi veterinari “segnalano da tempo che i proprietari di determinate razze canine avessero un patentino obbligatorio da rilasciare al termine di appositi corsi di formazione.” Richiama, infine, i casi dei Comuni di Milano, Parma e Venezia che si sono dotati di propri regolamenti e la legge regionale del Lazio n. 33 de 6 ottobre 2003 “Norme in materia di cani da presa, molossoidi e loro incroci”, che istituì un registro speciale per i cani di determinate razze e l’obbligo di una formazione specifica per i proprietari. 

Il Consiglio ci tiene a chiarire, comunque, che la finalità dei corsi obbligatori non sarebbe quella di demonizzare determinate razze bensì di aumentare la consapevolezza dei proprietari sulle responsabilità derivanti dalla conduzione dei loro cani. 

Per quanto mi riguarda, se devo immaginare dei corsi obbligatori, me l’immagino rivolti a tutti i proprietari, di tutti i cani e di tutte le razze, non solo di quelle “potenzialmente problematiche”. In primo luogo, perché potrebbe essere l’occasione per superare tutti insieme, finalmente, con un azione istituzionale e non solo grazie allo sforzo dei divulgatori più illuminati, la concezione del cane come oggetto, come corredo del suo umano, e giungere a una consapevolezza maggiore del suo essere individuo. In secondo luogo, perché gli episodi di morsicatura e di aggressione sono una cosa seria a prescindere dalla gravità delle lesioni provocate, anche quando coinvolgono cani di piccola taglia. Infatti, anche in questi casi può derivarne una perdita di fiducia e la rinuncia del cane da parte dei proprietari, con uno strascico di conseguenze emotive devastante che forse si poteva evitare. Infine, perché questa restrizione razziale, del tutto antiscientifica, tiene conto solo del maggiore potenziale offensivo di certi cani rispetto ad altri e orienta la discussione in una direzione che non mi piace, che riduce il cane a un’oggetto pericoloso che deve essere maneggiato con cautela e i comportamenti aggressivi a qualcosa d’inevitabile che deve essere gestito di conseguenza.

Chiara Grasso, etologa e giornalista, in un video pubblicato su Instagram il 7 maggio di quest’anno, ha spiegato che le manifestazioni aggressive, nei cani come nelle persone, sono la punta dell’iceberg di problemi comportamentali molto complessi, la manifestazione di un disagio, di un malessere.

Venendo al cosiddetto patentino, una misura del genere pone più dubbi e più interrogativi di quanti non si proponga di risolvere. Diana Letizia, direttrice di Kodami, in un video pubblicato su YouTube a seguito della tragedia di Marziana, sostiene che “parlare di razze pericolose e continuare a schierarsi tra chi sostiene che ci vuole il patentino e chi lo avversa, non servirà a nulla, se nessuno forma chi deve formare per far sì che per prima cosa si lavori sulla prevenzione” Da proprietario preoccupato per le sorti del proprio cane, se proprio devo immaginare un patentino, me lo immagino piuttosto come epilogo di un percorso di formazione orientato all’acquisizione di competenze sui bisogni e le motivazioni del cane. Un cane compreso, ascoltato, i cui bisogni sono appagati sarà sicuramente più felice di un suo simile i cui bisogni sono ignorati dai suoi umani. Immagino, in altre parole, la sicurezza come un risultato indiretto, comportato, di un percorso che si pone come finalità la felicità e il benessere del cane. Lo Shih Tzu che incontro ogni mattina quando esco con Kyra, che riceve uno strattone dalla sua padrona ogni volta che si ferma ad annusare per terra, mi fa una pena indicibile e non mi è di nessun conforto il fatto che, nella peggiore delle ipotesi, col suo morso non sia in grado di procurarle danni gravi. Il pastore tedesco che vive confinato in un giardino minuscolo, che nella sua vita ha visto il mondo esterno solo attraverso la rete di recinzione e abbaia a qualunque cosa si muova, mi fa altrettanta pena e non mi sarebbe di conforto il pensiero che i proprietari abbiano seguito un corso orientato esclusivamente al contenimento del rischio di morsicature e alla gestione dell’aggressività. Mi piacerebbe, invece, che ai suoi proprietari fosse insegnato quanto è importante portarlo fuori, farlo giocare e stare con lui. Mi piacerebbe che ai proprietari in generale fosse insegnata l’importanza della relazione, che fossero aiutati come lo sono stato io a costruire un legame solido che, insieme alla conoscenza profonda del cane delle sue motivazioni, è la migliore prevenzione di cui disponiamo per fermare il fenomeno delle aggressioni. Sempre Diana Letizia, nel video che ho citato prosegue affermando che: “è ampiamente dimostrato […] che l’inconsapevolezza di chi vive con un cane al fianco, senza conoscerne le motivazioni, è il primo motivo per cui si arriva a un evento così estremo e orribile.” Mi piacerebbe che i proprietari dessero importanza e valore a tutto questo. Mi piacerebbe, in altri termini, che si smettesse di considerare il cane come un oggetto, variamente declinato – da arredo vivente ad accessorio, da orpello estetico ad arma impropria – o come strumento per appagare le aspirazioni salvifiche di persone convinte che il loro amore sia sufficiente a recuperare cani con bisogni complessi e lo si considerasse finalmente come un individuo col quale costruire un rapporto improntato sulla conoscenza, sul rispetto e sulla fiducia reciproca.

Al di là di quello che mi piacerebbe, mi preoccupa il pensiero che io, che ho fatto un percorso di mesi insieme alla mia Kyra con un’educatrice che ha saputo tenere in considerazione tutti gli aspetti del suo carattere, le sue fragilità e le sue paure, accompagnandola con pazienza e gentilezza nel suo percorso, fossi costretto a fare uno di quei corsi di obbedienza dove Kyra sarà giudicata brava e sicura soltanto quando sarà capace di fare il seduto e il resta a comando (che poi lo fa e non gliel’ho neanche dovuto insegnare) o passare in mezzo a un gruppo di altri cani senza mostrare la minima curiosità verso di loro, continuando a guardare avanti come se il resto del mondo non esistesse. Ma forse mi sto preoccupando troppo, alla fine siamo in Italia e la cosa si potrebbe anche risolvere in niente o in due lezioni on line da scaricare dal sito dell’azienda sanitaria.
Previo pagamento del ticket, ovvio.



2 risposte a “Il patentino che vorrei”

  1. […] Di fronte a tutto questo, mi chiedo se le aggressioni canine rappresentino davvero un problema così significativo. Parlo in termini di numeri, non di casi singoli: è evidente che la perdita di una vita per un attacco di un cane sia un evento grave e drammatico, anche se fosse un caso isolato. Per comprenderlo, sarebbe utile analizzare le statistiche e distinguere il rischio reale da quello percepito. Nelle conclusioni di un’indagine epidemiologica di qualche anno fa, scaricabile dal sito del Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica, relativo alle aggressione ad esito letale in Italia dal 1984 al 2009, si legge che “Il fenomeno [delle aggressioni] per sé non ha prevalenze tali da rendersi vera emergenza in termini di salute pubblica, ma i risvolti emotivi che ogni volta, con frequenza almeno annuale, uno di questi casi provoca nell’opinione pubblica e nella sensibilità collettiva di per sé dovrebbe giustificare il ricorso a studi mirati che a tutt’oggi difettano sia a livello internazionale sia, in maggior misura, nazionale.” Non ho trovato altre informazioni più recenti che avessero la stessa autorevolezza. Dunque mi chiedo: le aggressioni canine costituiscono una minaccia concreta o sono un timore amplificato? L’opinione pubblica si divide, sul punto, mentre politici ed esperti da salotto invocano normative sempre più restrittive, come patentini per i proprietari di cani appartenenti a determinate razze o corsi obbligatori [ai quali avevo già a suo tempo dedicato un articolo]. […]

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  2. […] un articolo di qualche tempo fa, avevo affrontato il tema del cosiddetto patentino per la conduzione dei cani e devo ammettere che […]

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