“Come mai sei caduto dal cielo,
Lucifero, figlio dell’aurora?
Come mai sei stato steso a terra,
signore di popoli?”
Isaia 14, 12
“Qual è il vostro cattivo preferito?”
Questa domanda arrivò al culmine di una delle cene più piacevoli che io ricordi. Era il 2008, mi trovavo a Roma per una conferenza sull’energia e ne approfittai per passare la serata libera con tre amici molto speciali, ai quali ero legato non solo dall’affetto e dalla stima reciproca, ma anche da un comune destino che ci aveva voluti tutti, in tempi diversi, a capo di una potente setta di stregoni in un gioco di ruolo on-line che ebbe, nei primi anni duemila, un discreto successo.
Solo per togliermi una soddisfazione, fui io a fondare la setta col mio personaggio mentre loro ne furono continuatori e, in alcuni casi, innovatori. Al di là di questo sprazzo d’orgoglio per quella che a distanza di anni considero una delle mie creazioni più riuscite, fu una serata stupenda. Dopo la terza o la quarta birra da mezzo, la conversazione virò sui personaggi che ci erano stati d’ispirazione per la creazione dei nostri e Raul, in arte Hamelin Samaris, se ne uscì con la domanda che ho citato in apertura dell’articolo.
Non ricordo le risposte degli altri ma ricordo benissimo la mia: Lucifero.
Nella tradizione giudaico-cristiana, Lucifero è il nome che viene assegnato a Satana in forza di un’interpretazione di un passo del libro di Isaia [14,11-15] che pare si riferisse, originariamente, al Re di Babilonia. Furono i Padri della Chiesa a identificare in costui, tenuto conto del frequente accostamento di Babilonia al regno del peccato, dell’idolatria e della perdizione il Satana di Giobbe [1,6-12]. La questione dell’identità di Lucifero è complessa e mescola tradizioni pre-cristiane, giudaiche, Antico e Nuovo Testamento. Nondimeno, c’è oggi sostanziale convergenza sull’idea che Lucifero corrisponda alla figura di Semeyaza, l’angelo che secondo la tradizione giudaica Dio pose a capo dei Vigilanti, angeli incaricati di sorvegliare e proteggere gli esseri umani. Semeyaza e i suoi angeli sottoposti, tuttavia, si innamorano delle donne della terra e decisero di scendere dal cielo per unirsi a loro, contravvenendo agli ordini prescritti dal Capo. Sulla terra, oltre a divertirsi con le donne umane, combinarono una riga di casini incredibile. Dio finse per un po’ di guardare dall’altra parte – “So ragazzi, che vuoi farci…” – ma poi, a forza di essere tirato per la giacchetta dai primi della classe, ossia gli arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele e Uriele, dovette intervenire. Inviò quindi sulla Terra il capo dei primi della classe, Michele, che doveva essere un tipo veramente tosto, un duro, tanto che fece da solo il culo a duecento di loro e li imprigionò sotto le colline della Terra, dove sarebbero dovuti rimanere per settanta generazioni. Come dire: fine dell’autogestione, si torna in classe. Solo che i caduti non tornarono mai nelle schiere angeliche e andarono a popolare, nella narrazione biblica, l’Inferno. Semeyaza, alias Lucifero, capo era e capo rimase, solo che divenne il datore di lavoro di sé stesso.

Questa, in sintesi estrema, la storia di Lucifero. Dico in sintesi estrema perché una trattazione estesa dell’argomento richiederebbe più di un libro e MinimiTermini non può permetterselo: dopo la serie sui cani, una serie a sfondo biblico sarebbe troppo anche per i lettori più pazienti. Dunque, fatto il punto sulla storia di Lucifero, rimane da spiegare perché, di tutti i cattivi, lui fosse quello che più aveva colpito la mia fantasia.
Devo dire, innanzitutto, che una parte importante nel determinare la mia fascinazione per la figura dell’angelo caduto fu l’interpretazione che ne diede Mark Pellegrino nella serie Supernatural. Non sono riuscito a rintracciare l’episodio ma ce n’è uno – ne sono sicuro – in cui, parlando proprio con Michele, accenna al fatto di essere stato il prediletto di suo padre.
Quel giorno la mia fantasia ha iniziato a galoppare, immaginando cosa dovesse provare Lucifero, considerato il più bello di tutti gli angeli, prediletto del Signore, nell’essere allontanato dalla sua luce e relegato nelle oscure profondità della terra. Il suo peccato d’orgoglio gli ha procurato una punizione insopportabile: la lontananza dal Padre, che egli nonostante tutto ama ancora disperatamente e disperatamente anela a ricongiungersi con lui – o a prendere il suo posto. Mi sono immaginato un uomo dilaniato dal conflitto, incapace di servire in un ruolo subordinato ma bisognoso di essere tenuto nella considerazione che crede di meritare in quanto migliore di tutti gli altri. Egli, infatti, biasima il potente Michele che considera solo un servo, potentissimo e temibile ma pur sempre un servo, mentre egli è padrone di se stesso. Questo, almeno, è quello che crede, quello di cui si è convinto per lenire la sua frustrazione e il suo dolore. Perché Lucifero, in definitiva, è una creatura sofferente, che nella sofferenza derivata dall’isolamento coltiva il desiderio di un ritorno impossibile alla Luce e un odio profondo per Colui che da quella Luce l’ha allontanato. L’orgoglio di cui è vittima gli impedisce di vedere la verità: che è lui stesso la causa del suo male, non il Dio che odia.
“Tu dicevi in cuor tuo: «Io salirò in cielo,
innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio;
mi siederò sul monte dell’assemblea,
nella parte estrema del settentrione;
salirò sulle sommità delle nubi,
sarò simile all’Altissimo».
Invece ti hanno fatto discendere nel soggiorno dei morti,
nelle profondità della fossa!”
Isaia 14, 13-15
Maledetto orgoglio.
Ci frega sempre.



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