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Il blog di Oreste Patrone


Rain Dog

Avete presente la scena di Rain Man in cui Charlie Babbitt [Tom Cruise], durante la colazione, esasperato dalle fissazioni di Raymond [Dustin Hoffman], lo afferra per il collo e lo minaccia di smetterla? Tutti, all’epoca, abbiamo biasimato il comportamento di Charlie in quel frangente, la sua totale mancanza di empatia nei confronti del fratello.

Mi capita di ripensare a quella scena ogni volta che assisto, mio malgrado, alle reazioni stizzite di certi proprietari di fronte ai comportamenti indesiderati dei loro cani. Mi sono ritrovato, recentemente, a riflettere su quelle reazioni, osservando anche le mie di fronte alle difficoltà di Kyra, e sono giunto alla conclusione che il tema delle reazioni emotive che insorgono di fronte ai comportamenti indesiderati è molto complesso. Ciò non vuol dire che sia arrivato a giustificare il ricorso alla violenza – questo mettiamolo subito in chiaro – dico solo che ho iniziato a riflettere su quelle reazioni tenendo in considerazione il fatto che così come non esiste il cane perfetto, non esiste neppure l’umano perfetto, e la relazione idilliaca che vediamo sui social spesso è solo una rappresentazione molto edulcorata.

Kyra è un cane adorabile ma deve fare i conti, ogni giorno, con le sue difficoltà. Il suo percorso educativo l’ha aiutata tantissimo – merito delle professioniste che ci seguono nella sua attuazione – ma sarà sempre un po’ più timida e insicura, più fragile rispetto agli altri cani. Ciò comporta, inevitabilmente, delle conseguenze nella vita di tutti i giorni, niente di insuperabile o invalidante, ma sono cose che richiedono maggiore attenzione e anche, talvolta, una buona dose di pazienza. A tal proposito, tutti noi vorremmo essere sempre calmi come Buddha, che nulla turbasse mai la nostra pace interiore. Purtroppo, almeno per me, non è così. Nonostante sia molto migliorato negli anni e riesca a farmi scivolare abbastanza addosso le cose, può capitare che gli eventi di una giornata più dura del solito risultino particolarmente appiccicosi e non scivolino come mi piacerebbe, lasciandomi con un pericoloso accumulo di tensione addosso. Arrivato a casa, vorrei sedermi sul divano e chiudere gli occhi ma è tardi e Kyra deve uscire per i bisogni e, magari, avendomi aspettato per tutto il giorno, avrebbe anche piacere di fare qualcosa con me: una passeggiata più gratificante del giro del quartiere o un gioco. Addolcito dal suo sguardo adorante, rinuncio al divano ed esco. Stiamo camminando e di punto in bianco, non si sa perché, Kyra si ferma e si siede in mezzo alla strada. Qualcosa la turba, non vuole proseguire. Normalmente, cambierei lato della strada o tornerei indietro, ma in quel momento mi torna su, come un rigurgito, tutto il malessere accumulato durante la giornata. Kyra, improvvisamente, diventa come la messa a terra negli impianti elettrici e tutta la tensione accumulata rischia di scaricarsi, di colpo, attraverso di lei [se non vi è mai successo, neanche una volta nella vostra vita, col cane o coi familiari, o siete Buddha o state mentendo].

Me ne sto lì, di fronte a lei, a chiedermi perché non possa fare anch’io una passeggiata normale come fanno tutti gli altri proprietari coi loro cani. Tutti quei bravi cani, che camminano come se il resto del mondo non esistesse. Beati proprietari, penso, trascinati in giro dai loro cani come slitte ma almeno, santo cielo, non sono piantati in mezzo alla strada come me. Beati proprietari che possono trascorrere la passeggiata senza scollare un attimo lo sguardo dal cellulare. Beati proprietari che ad ogni aiuola, tanto per non sbagliare, assestano uno strattone di promemoria al cane, sia mai che, essendo un cane, dovesse venirgli voglia di annusare. Beati proprietari che ripetono “piede” ogni tre passi, come se temessero di dimenticarsi il nome dell’estremità distale dell’arto inferiore umano. Beati proprietari che ci sfilano accanto col loro marsupio pieno di würstel col quale distraggono il proprio cane dalla nostra presenza. Beati proprietari che non sanno e non gli interessa sapere cosa passa per la testa del loro cane quando si blocca, perché tanto risolvono tutto con un bello strattone. Già, proprio beati.

In quei momenti, di fronte al disagio di Kyra, sono davanti a un bivio: essere o non essere come loro. Essere o non essere Charlie Babbit. Scelgo di non esserlo, scelgo di essere migliore, ma non è sempre facile, soprattutto nei giorni in cui l’impulso di imboccare una scorciatoia è più forte. In quei giorni, in quei momenti, devo prendermi il tempo per tornare in me, per ricordarmi chi sono, chi è lei, che ci facciamo insieme lì.Prendermi il tempo per ripensare a quel giorno di dicembre in cui io e lei ci siamo ritrovati e ci siamo scambiati una promessa.

Questa è la parte romantica, quella che scioglie come l’acqua di una doccia calda la tensione della giornata, dissolve le nebbie che mi avevano offuscato il cervello e mi fanno ritrovare la bolla. Poi c’è la parte razionale, data dalla consapevolezza che uno strattone non risolverebbe niente, che peggiorerebbe le cose, e mi farebbe apparire agli occhi di Kyra come uno stronzo che non si merita un cane meraviglioso come lei.

Nella soluzione dei problemi comportamentali del cane, non esistono scorciatoie né bacchette magiche. Chi dice il contrario, mente. In questi giorni è diventata insistente, nella mia home di Facebook, la pubblicità di un metodo miracoloso che promette di rimediare alla reattività del cane in 28 giorni, partendo dal “seduto automatico” in 2,5 ore. Quello che trovo più deprimente in tutto ciò non è solo la pubblicità ingannevole o il pensiero di quello che sta dietro a un metodo del genere, quanto il concetto che passa attraverso il messaggio: quello del tempo come un ostacolo, quando invece è l’alleato più prezioso di cui disponiamo e non solo nell’educazione del cane. Qualunque sia il nostro obbiettivo, che sia rimetterci in forma per l’estate, andare più forte in bici, dimagrire, imparare l’inglese, ormai l’imperativo è subito e senza fatica. Un imperativo che si scontra contro la realtà, aumenta la frustrazione e aggrava i problemi invece di risolverli. I latini l’avevano capito prima di noi e dicevano che “Nulla res magna sine labor venit”. Finché si tratta solo di noi stessi, pazienza; ma se dobbiamo esportare le conseguenze di quest’assurdità su un altro essere vivente, incolpevole, che ha pure la sfiga di essere predisposto a fidarsi di noi, allora no. Davvero, no. 

Francesca D’Onofrio, istruttrice cinofila, sul suo sito Etologia del cane, scrive così: “Il compito di chi vive con un cane fragile è, in primis, di non accettare l’aiuto di chi la fa semplice e propone tristi e, molto spesso violenti, espedienti per costringere il cane a confrontarsi con le proprie difficoltà senza curarsi della sua parte emotiva. Chi vive con un cane fragile ha poi il delicato compito proteggerlo da ogni ulteriore complicazione e di accompagnarlo in ogni esperienza in modo attento scegliendo un aiuto che miri solo ed esclusivamente al benessere del cane e non a soddisfare le pretese di chi avrebbe voluto che quel cane fosse plasmato come un articolo su misura. È vero, questo tipo lavoro non è sempre immediato, perché ci vogliono fatica e costanza, ma sicuramente riempie i vuoti e colma le distanze invece di crearle.”

La lezione di Rain Man sta nella trasformazione che subisce Charlie Babbit, da cinico e insensibile uomo d’affari a fratello amorevole e comprensivo, che tiene al benessere di Raymond e arriva persino a rinunciare a lui pur di risparmiargli l’umiliazione dell’intervista cui lo sottopone il medico nominato dal Tribunale.

Se Charlie Babbit riesce a cambiare se stesso, possiamo (e dovremmo) farlo anche noi. Ne gioveremo noi in primis, a seguire il nostro cane e, infine, tutti quelli che ci stanno intorno.



2 risposte a “Rain Dog”

  1. wow!! 88Rain Dog

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    1. Thank you!

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