MinimiTermini

Il blog di Oreste Patrone


Il proprietario allo specchio

Un giorno di tre o quattro mesi fa, una signora che mi aveva contattato per delle lezioni di matematica per il figlio mi chiese se fossi io il ragazzo […] che aveva visto qualche volta a spasso per il quartiere con un rottweiler. Dissi che potevo essere io – più che altro perché in un anno di passeggiate con Kyra non avevo mai incontrato altri proprietari di Rott – ma per carità non mi chiamasse ragazzo. Mi chiese a chi mi ero rivolto per l’educazione di Kyra perché lei aveva grossi problemi col suo cane, un maremmano di circa un anno, col quale avevano provato diversi approcci, con diversi educatori, ma senza risultati. 

Le spiegai che il percorso di Kyra era stato diverso, nel senso che non mi ero presentato in un campo di addestramento qualsiasi per fare delle lezioni sulla condotta al guinzaglio, la camminata al piede o cose del genere. Eravamo passati per la valutazione di una veterinaria esperta in comportamento animale, per individuare la natura e l’entità delle sue difficoltà e poterle cucire addosso un percorso di recupero su misura, da attuare in campo [e fuori] con l’aiuto di un’educatrice. Le due professioniste in questione le conoscete: sono state ospiti entrambe di MinimiTermini, sono la dott.ssa Monica Manari e l’educatrice Jessica Strgar. Tuttavia, lo scopo dell’articolo di oggi non è quello di parlare del loro lavoro bensì di un aspetto secondo me poco indagato dal rapporto che si instaura con queste figure, ossia le reazioni e gli stati d’animo del proprietario durante la valutazione del cane e il successivo lavoro di riabilitazione. 

Per farlo, partirò dal caso di questa donna e dal mio. Iniziamo da me. 
Quando Kyra aveva circa tre mesi ed era da poco arrivata da noi, la portammo dal veterinario per una visita di controllo. Non entrerò nei dettagli per tutelarne la riservatezza – intendo quella del cane – ma fu veramente una brutta scena. Diciamo solo che Kyra ebbe una specie di attacco di panico. 

Ci rivolgemmo subito alla dott.ssa Manari, che venne a casa nostra per la valutazione e ci spiegò cosa avremmo dovuto fare per aiutare Kyra, mettendoci come prima cosa in contatto con Jessica. Psicologicamente, per me, fu un colpo durissimo: non ero preparato all’idea che il cane dei miei sogni, quello che avevo aspettato tutta la vita, avesse dei problemi; l’arrivo di Kyra doveva essere l’avveramento di un sogno, l’inizio di un capitolo nuovo e bellissimo della mia vita, non l’ennesimo problema da risolvere. L’idea che un cane potesse essere insicuro o pauroso, soprattutto un cane come Kyra, non mi aveva mai sfiorato. Lei, invece, era come il leone cordardo del Mago di Oz e io non avevo a disposizione nessuna pozione di coraggio da darle, solo un lungo percorso davanti al quale ero impreparato e nel quale le uniche magie a mia disposizione sarebbero state il tempo, la costanza e la pazienza. Qualità, queste ultime due, nelle quali non ho mai brillato. 

In base ai racconti della donna che mi aveva contatto per le lezioni, una cosa simile era avvenuta anche a lei: il suo maremmano non era come lei s’immaginava che sarebbe stato e i suoi problemi erano stati peggiorati dall’approccio dei precedenti educatori. Le analogie tra i due casi, tuttavia, finiscono qui, perché Kyra non mostrò mai atteggiamenti aggressivi, né in casa né fuori, fu sempre molto affettuosa; era solo molto insicura. Inoltre, noi iniziammo subito un percorso per aiutarla, mentre la proprietaria del maremmano lo interruppe dopo una sola sessione di lavoro in campo. Già dopo la prima valutazione mi chiamò per dirmi che non era convinta, che non si era trovata bene e che secondo lei il suo cane non aveva i problemi le erano stati diagnosticati e, soprattutto, che secondo lei non li avrebbero risolti in quel modo. Inoltre, si lamentava che avrebbe voluto fare delle lezioni di condotta al guinzaglio e non le attività in campo.

Questo ci porta alle due questioni che, secondo me, stanno alla base del successo o del fallimento del rapporto con le professioniste che devono assisterti nel percorso di recupero comportamentale del cane. 

La prima riguarda l’accettazione. 
Prima accetti che il tuo cane ha delle difficoltà, prima puoi fare qualcosa per aiutalo; negare l’evidenza peggiora le cose, perché il cane cresce e quelli che oggi sono questioni affrontabili domani possono diventare scogli insormontabili. Quando finalmente mi ripesi dal momento di sconforto che seguì la prima valutazione, capii una cosa fondamentale: non importa se sei impreparato a qualcosa, la vita non ti chiede se sei d’accordo quando ti presenta una situazione, devi adattarti e affrontarla. Inoltre, in quello sconforto c’era una dose di egoismo sconcertante, della quale oggi mi vergogno. Tuttavia, essendo acclarato che l’emotività svolge una funzione mediatrice del comportamento, non solo del cane, ritenevo fosse giusto parlare anche di quella dei proprietari e per non urtare la suscettibilità di nessuno, ho scelto di parlare della mia. Kyra non poteva aiutarsi da sola, aveva bisogno di me per superare le sue paure, che altrimenti potevano diventare premessa di un problema comportamentale molto più serio e l’ultima cosa di cui il mondo aveva bisogno era l’ennesima conferma dello stereotipo del Rott pericoloso. La paura è la via per il lato oscuro, lo diceva Maestro Yoda. 

“La paura porta alla rabbia, la rabbia porta all’odio, l’odio porta alla sofferenza.”

Quindi, raccolsi i cocci del mio sogno infranto e misi fine al piagnisteo – che stava diventando onestamente imbarazzante – e iniziammo col lavoro. Purtroppo altri, piuttosto che affrontare la verità [e gestirla] preferiscono voltare le spalle allo specchio che gliel’ha mostrata [veterinaria/o comportamentalista] e fingere di non vederla. Oppure, cercano mediazioni impossibili tra l’opinione professionale del medico e la loro esperienza, data dal fatto che loro conoscono il loro cane e sanno che non è come sembra, del resto lei/lui l’hanno visto solo per un’oretta e cosa vuoi che possano avere capito. Oppure – ed è lo stadio di negazione peggiore di tutti – mettono in dubbio le competenze del professionista perché se è lui/lei a non capire niente, loro si sentono sollevati da ogni responsabilità nei confronti del cane. 

L’accettazione è il primo passo per aiutarlo davvero, perché nel caso non fosse chiaro, lui non ha scelto di avere quelle difficoltà e non è in grado di farlo da solo: devi aiutarlo tu. Forse lui non era il cane che sognavi ma tu puoi essere migliore dei tuoi sogni e diventate il proprietario dei suoi, quello che merita, aiutandolo ad affrontare il percorso di recupero. Io sono convinto che la nostra relazione, oggi, sia solida anche grazie al fatto di avere affrontato insieme quel percorso, nel quale non sarò stato sempre perfetto ma ho cercato di essere presente e attento ai bisogni di Kyra. 

Seconda cosa, il senso di colpa. 
Molti temono il giudizio degli altri proprietari di cani o delle persone che incontrano durante le passeggiate [il giudizio sociale è uno dei Grandi Mali della nostra società] ma questo è un problema loro, non del cane. Si sentono responsabili delle cause che hanno determinato l’insorgenza di certi comportamenti. In certi casi è così, in altri il nostro approccio condiziona e rinforza comportamenti sbagliati, ma quando un cane arriva da noi con delle difficoltà non è colpa nostra. Me lo sono ripetuto per mesi, dicendomi però anche che se avessi saputo tante cose prima, forse avrei fatto scelte diverse e non avrei accettato il regalo del mio amico, ma questo avrebbe cambiato la mia situazione, non quella di Kyra. Se non l’avessi presa io – e già solo questo pensiero, che lei non faccia parte della mia vita, mi dilania – magari sarebbe finita in una famiglia che non l’avrebbe capita, che non ne avrebbe compreso le fragilità e non avrebbe saputo o voluto aiutata. Se il pensiero di non averla con me mi dilania, quello di saperla incompresa e infelice mi annienta.

Si dice sempre che il cane è un impegno. Io dico che è un impegno e un dono di cui mi sforzo di esserne all’altezza: non sempre ci riesco ma faccio del mio meglio. Kyra è la cosa migliore che potesse capitarmi e aiutarla a superare le sue difficoltà è stato un aiuto prezioso anche per me, perché quando entri in empatia con qualcuno che soffre, partecipare alla sua guarigione può curare anche te.

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