The Titan [2018] è un film diretto da Lennart Ruff, ambientato in un futuro prossimo in cui il destino della Terra è segnato dalla sovrappopolazione, dalla penuria di risorse e dai cambiamenti climatici. Il male che affligge il pianeta è incurabile e i mali estremi richiedono estremi rimedi. Martin Collingwood [Tom Wilkinson], professore di genetica, ha messo a punto un programma di evoluzione forzata che consentirà agli esseri umani di adattarsi alle condizioni ambientali estreme di Titano – uno dei satelliti di Saturno – considerato un’opzione promettente per la sopravvivenza della specie.
Il pilota dell’aeronautica militare USA Rick Janssen [Sam Worthington] viene selezionato, insieme ad altri undici candidati, per partecipare al programma, che consiste in processi di editing genetico avanzato, prove fisiche e di condizionamento ambientale.
Dei dodici candidati iniziali, solo due sopravvivono agli effetti collaterali del programma: uno è Rick e l’altra è Tally Rutherford. Lei, tuttavia, morirà in uno scontro con le forze di sicurezza e rimarrà solo Rick, ormai geneticamente mutato in un essere umanoide che pur conservando il ricordo e il legame affettivo con la moglie Abigail il figlio Lucas, non è più in grado di sopravvivere sulla Terra. Rick verrà quindi trasferito su Titano, dove vivrà la sua vita di Homo Titanicus [dagli appunti di Collingwood], unico individuo di una specie appena nata e già in estinzione.
Trovare una recensione positiva di questo film è impossibile.
Secondo i siti che ho consultato, si tratta nel migliore dei casi di un’occasione sprecata: brutto, mal scritto, mal diretto e mal recitato. Solo sulla bontà dello spunto iniziale c’è unanimità di giudizio ma a quanto pare non basta a salvare il film. Del resto, se non ci fosse qualcosa di quest’opera che a mio parere merita una parola, non saremmo qui. Ci siamo perché il film affronta temi come il sacrificio, il cambiamento, la solitudine e l’etica della scienza: tutti temi che mi stanno molto a cuore. Avrebbe potuto farlo meglio, su questo non c’è dubbio, ma resta il fatto è riuscito a toccarmi tanto da spingermi a scriverci qualcosa. Erano anni che volevo farlo, che mi portavo dentro una tristezza che non riuscivo a elaborare finché qualcosa non si è sbloccato improvvisamente un paio di giorni fa, dandomi l’ennesima conferma che certi processi non possono e non devono essere affrettati.
Iniziamo da Rick Janssen e dalla sua trasformazione.
Alcuni recensori hanno usato, impropriamente, il termine transizione ma quello di Rick è molto più di un passaggio da una condizione precedente a una nuova: è un cambiamento radicale e profondo, una modifica sostanziale dell’individuo. La forma umana di Rick è la crisalide che contiene la farfalla della sua forma titanica. Il fatto che questa trasformazione avvenga in un contesto narrativo a giudizio di molti monotono, non ha fatto che peggiorare il mio turbamento generando un’intensa connessione emotiva col personaggio di Rick. La sua è una vera e propria alienazione, dal mondo esterno e da se stesso, uno stato di estraniazione, di smarrimento dell’uomo colpito nella propria identità e strappato alla propria autenticità. Un senso di estraneità al proprio mondo, mescolato a una completa ignoranza del nuovo sé.

Rick a un certo punto è solo, sospeso tra due mondi ma estraneo a entrambi. Egli, infatti, è alieno rispetto al mondo umano di cui era parte fino a pochi mesi prima ma è altrettanto estraneo al mondo nuovo col quale è biologicamente compatibile ma di cui, in realtà, non sa nulla.
C’è poi Collingswoord, il professore, che si pone al centro di questo processo di creazione. Il suo sogno di adattare gli esseri umani per sopravvivere su un nuovo pianeta lo pone in una posizione quasi divina, non solo come creatore di una nuova specie ma come arbitro del destino umano. Non ho potuto fare a meno di pensare al Progetto Lebensborn e al sogno eugenetico di Heinrich Himmler. L’Homo Titanicus rappresenta il controverso lascito scientifico di Collingwood all’umanità. Mi chiedo come sarebbe stato ricordato dalla nuova popolazione umanoide di Titano se il programma avesse avuto successo, se la sua figura non si sarebbe trasformata nel tempo, sfumando nel mito, assumendo poco a poco i contorni della divinità creatrice in un racconto della Genesi a misura di titanidi. La figura di Collingswood impone allo spettatore una riflessione sui limiti morali delle ambizioni tecnologiche.
Un altro aspetto struggente della vicenda personale di Rick è la solitudine immensa e inevitabile che deve affrontare, una solitudine che raggiunge l’apice nella scena finale che lo vede in cima a una montagna a contemplare la vastità e la desolazione della sua nuova casa – un luogo che non può condividere con nessuno – mentre lo sguardo cerca sotto di sé un contatto visivo impossibile con Abigail che scruta il cielo dal giardino della loro vecchia casa. La separazione che Rick vive non è solo fisica, data dalla distanza che lo separa dalla Terra, ma anche e soprattutto emotiva. La solitudine diviene parte integrante della sua stessa esistenza, nella quale deve confrontarsi con le scelte che ha fatto e le loro conseguenze, accettando la sua nuova identità e il fatto che il suo sacrificio potrebbe essere stato inutile.
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