Nel suo libro “Seven League Boots”, Richard Halliburton descrisse un evento accaduto a Tbilisi nella primavera del 1915. Decine di cavalieri, che sembravano usciti da un racconto sulle crociate, sfilarono per le strade della città; si diressero al palazzo del Governatore e chiesero dove fosse la guerra. “Abbiamo sentito che c’è una guerra.”
In effetti, il 5 novembre del 1914 l’impero russo aveva dichiarato guerra a quello ottomano. La notizia aveva viaggiato attraverso i territori dell’impero fino a raggiungere, sei mesi dopo, l’isolata regione montuosa del Khevsureti. Era da lì che provenivano i cavalieri. Il loro equipaggiamento antiquato e di foggia occidentale si spiegherebbero grazie a un’antica leggenda del Caucaso, secondo la quale gli abitanti del Khevsureti sarebbero i discendenti di un gruppo di cavalieri franchi che durante la prima crociata si staccarono dall’esercito cristiano, marciarono attraverso la Turchia e l’Armenia e si stabilirono nelle montagne del Grande Caucaso.
La storia ufficiale è scettica riguardo alla veridicità del racconto, sebbene le Cronache georgiane – una raccolta di testi storici medievali – menzionino effettivamente un gruppo di cavalieri franchi [ifranj] che combatté nelle file di Re Davide IV nella battaglia di Didgori del 12 agosto 1121 tra il Regno di Georgia e l’Impero selgiuchide.
L’episodio di Tbilisi è talmente curioso da essere citato in decine di siti internet. Mi è capitato di rileggerlo di recente e mi sono messo a riflettere su questi uomini, che si presentano con le loro armature medievali e le spade per affrontare una guerra moderna, al contrasto che esprime questa immagine e al loro coraggio, al loro spirito di sacrificio. In un’epoca in cui la base dell’esercito russo era formata da coscritti, essi avevano lasciato i loro villaggi fortificati sulle montagne per unirsi volontariamente all’esercito. Avrebbero potuto restare dov’erano, che tanto nessuno sarebbe mai andato a cercarli, e invece erano lì, per onorare il patto di fedeltà alla nazione russa, per difenderla dal suo nemico di sempre.
In un’epoca in cui le rievocazioni storiche non esistevano, l’apparizione di quegli uomini venuti a rivendicare un ruolo in una storia che li aveva dimenticati, dev’essere sembrata ai tbiliseli una sfilata di fantasmi. Halliburton, nel suo libro, li chiamò gli ultimi crociati.
Nonostante le loro iniziali aspettative di combattere con armi tradizionali, i cavalieri del Khevsureti furono integrati nell’esercito russo e addestrati per la guerra moderna. Pare che nessuno li costrinse, fu una loro scelta per contribuire in modo significativo allo sforzo bellico, dettata dalla comprensione della situazione. Volevano essere d’aiuto, non d’intralcio; ma soprattutto, compresero che al di là delle cotte di maglia, neanche il loro straordinario coraggio avrebbe potuto nulla contro le mitragliatrici Schwarzlose M.07/12 in dotazione all’esercito turco. Questa loro evoluzione, che da un lato dimostra la loro capacità di adattamento, dall’altro segna il tramonto di un’epoca, di una cultura militare sopravvissuta tra le montagne grazie all’isolamento.
Franco Cardini, autorevole medievalista italiano, autore di un libro che ho molto amato intitolato “Alle radici della cavallieria medievale”, scrive che la civiltà occidentale deve molto alla cavalleria. “Per convincersene è sufficiente osservare quanto essa ancora influenzi i pensieri e i comportamenti degli uomini sin dalla più tenera età. Nei loro giochi, i nostri figli si proiettano quasi naturalmente in un universo irto di castelli e popolato di cavalieri, gli autori di successo ne traggono ispirazione, numerose opere letterarie o cinematografiche, fino ai giorni nostri, hanno fatto ricorso a questo tema e riprendono la sua atmosfera, il suo linguaggio e alcuni dei suoi valori.”
I cavalieri di del Khevsureti continuano a offrire alla fantasia di tutti noi un appiglio per farci tornare bambini, ripopolando il nostro immaginario di figure eroiche, generose e nobili d’animo. In un’epoca di grandi cambiamenti e di incertezze, l’eredità dei cavalieri Khevsureti ci ricorda che il valore risiede nel coraggio di affrontare le sfide con dignità e nel mantenere vivi i legami con le radici e le tradizioni. A oltre un secolo di distanza, il loro esempio continua ad affascinare i nostri cuori, come un richiamo alla nobiltà di cuore e alla forza interiore: qualità che più del lignaggio fanno di un uomo un Cavaliere.
MinimiTermini



Scrivi una risposta a Alessandro Comuzzi Cancella risposta