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Il blog di Oreste Patrone


Non sono il capobranco [e non lo sarò mai]

Una delle cose che ancora oggi sento ripetere troppo spesso – l’ultima volta proprio ieri, durante una conversazione con un altro proprietario – è la teoria secondo cui l’essere umano dovrebbe porsi nei confronti del cane come un capobranco. Ogni volta che lo sento, mi rendo conto di quanto io sia lontanissimo da qualsiasi ruolo di comando nei confronti di Kyra. Nella mia famiglia posso essere una guida, posso sostenerla nei momenti di difficoltà e lasciarmi sostenere da lei nei miei, ma non sono un capobranco, un Alpha. E, soprattutto, non comando nessuno.

Come ci ha insegnato la dott.ssa Manari – medico veterinario esperto in comportamento animale e persona di grande sensibilità, più volte nostra ospite – tra individui di specie diverse non ha senso parlare di branco. Si parla, semmai, di gruppo sociale interspecifico. E anche all’interno di un gruppo, non c’è necessariamente un leader nel senso gerarchico del termine.

La logica della verticalità – quella che assegna un vertice che decide e una base che obbedisce – risponde a esigenze funzionali, spesso tipiche di contesti in cui manca un legame empatico tra i membri. Nelle organizzazioni complesse, dove il coordinamento rapido è fondamentale, ha senso che le decisioni siano accentrate. Ma in una relazione fondata sulla fiducia e sulla quotidianità condivisa, come quella tra un essere umano e il proprio cane, non serve un comandante: serve un compagno.

Personalmente, non ho mai creduto nella necessità di strutture autoritarie nei rapporti affettivi. Credo, invece, nella reciprocità. Non voglio essere il capo di nessuno. Non ambisco a essere né il vertice né l’ultima ruota del carro. Sto bene così, in una posizione paritetica, dove l’ascolto e la presenza contano più del comando.

Una volta, il mio amico Peppe – psicanalista e uomo acuto e intelligente, noto come Monica ai lettori di MinimiTermini – mi spiegò che in noi esseri umani sopravvive un timore ancestrale: quello della predazione. L’Homo sapiens, fragile per costituzione, non è mai stato davvero in grado di difendersi da solo contro le forze della natura. Per questo, ha sviluppato sofisticati meccanismi di controllo: controllare ciò che ci circonda ci fa sentire più sicuri.

Forse, un giorno, approfondirò con lui questa idea. Ma intanto continuo a pensare che quando una persona insiste nel definirsi Alpha rispetto al proprio cane, ciò che sento non è autorevolezza, ma paura. Non il desiderio di stabilire un legame autentico, ma il bisogno di dominare qualcosa per timore che possa sfuggire. Una paura che nel tempo è diventata teoria, pedagogia e infine ideologia: quella dell’umano posto, in una visione biblica e antropocentrica del mondo, al di sopra della natura.

Ma vivere con un cane non significa dominarlo. Significa condividere. E in ogni condivisione autentica, non c’è posto per gli Alpha.

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