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Il blog di Oreste Patrone


Il Reame che non c’è

Il motivo per cui non amo le trasmissioni che raccontano matrimoni, cerimonie o feste di certe famiglie meridionali non è una forma di snobismo. Il punto è che quel tipo di narrazione alimenta e rafforza lo stereotipo del meridionale ignorante, pacchiano, che interpreta ogni ricorrenza familiare come un’occasione di esibizione, una caricatura, vestendosi come un copriletto barocco e atteggiandosi come la famiglia reale di un assurdo reame di crinolini e cartongessi. 

Il problema non è l’eccesso in sé – quelli esistono ovunque, in ogni gruppo sociale e in ogni parte del mondo – ma lo sguardo di chi guarda. Quello spettatore non è un altro meridionale che ride, con autoironia, delle proprie esagerazioni. È piuttosto il resto del Paese, che assume quella rappresentazione come realistica e ne ricava l’idea che il Sud sia popolato unicamente da figure grottesche e rumorose, da famiglie che scambiano il giorno delle nozze per il Festival di Sanremo.

Il problema di queste immagini è che ripetute all’infinito, spacciate per intrattenimento popolare, finiscono per sovrapporsi alla verità formando un immaginario collettivo falsato. La televisione e i social, inseguendo il proprio tornaconto, elevano una minoranza folcloristica a paradigma identitario e a quel punto il Sud diventa, per molti, solo confusione, ostentazione e cattivo gusto. È una riduzione brutale, che non lascia spazio alla complessità di un territorio che è molto più di quella mortificante sommatoria di stereotipi.

Perché il Sud non è mica quella roba lì. È un luogo di storia, di cultura e di bellezza, d’arte e di letteratura, popolato di persone oneste, colte, che frequentano l’università pubblica e laica più antica del mondo [Federico II], fanno ricerca scientifica, creano imprese e posti di lavoro, cercano di valorizzare il proprio ambiente, la propria comunità e le proprie competenze. Tutto questo, però, raramente trova spazio sugli schermi.Ecco perché considero deplorevole quel tipo di rappresentazione, perché riduce la realtà a una caricatura che umilia, invece di restituire dignità. Il Sud si merita storie che ne raccontino la complessità, la profondità e la ricchezza. Storie che ci sono già, ma alle quali viene dedicato molto meno spazio. Magari se ne potrebbe proporre una ogni tanto, come forma di compensazione culturale, tra un matrimonio e una comunione, tra una torta alta come un condominio e uno stormi di colombi. Potrebbe essere un’idea.

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