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Il blog di Oreste Patrone


Il nostro altrove

C’è una scena, nella quarta stagione di Vikings, che adoro.
Ci sono Ragnar e Lagertha che parlano davanti al fuoco, nel palazzo reale di Kattegat. Dopo anni di lontananza, di silenzi e di ferite che non si sono mai rimarginate del tutto, in qualche modo si sono ritrovati. È un momento intenso, sospeso tra la nostalgia e la pace di chi non ha più niente da perdere. 

Lui le confessa che a volte, pensando a tutto quello che è accaduto, vorrebbe non avere mai lasciato la fattoria — la loro, quella dove erano stati giovani, prima che la vita li trascinasse altrove, lontani l’uno dall’altra, facendo di lui un Re riluttante e di lei una donna indipendente, che ha imparato a bastare a se stessa e a convivere con la propria solitudine.

Ogni volta che rivedo quella scena, capisco bene Ragnar cosa intenda. 
La vita a volte ci porta lontano, ci cambia, e non sempre abbiamo un luogo a cui tornare. Una fattoria che, più che uno spazio fisico, è un luogo dell’anima, un altrove intimo e pacificato a cui tornare col pensiero. Un luogo che costudisca la nostra forma iniziale, il noi originario. Ma per i fortunati che ce l’hanno, quella fattoria diventa un punto d’inizio, un angolo di semplicità intatta. Pensare che quella fattoria sia ancora lì, anche solo nella memoria, è un modo per proteggere la parte di noi che non vogliamo perdere, per non sentirci del tutto alla deriva.

Io credo di sapere qual è la mia fattoria.
È questa casa, nei giorni in cui io e Valentina siamo venuti ad abitarci. Non avevamo il divano, avevamo solo due sedie di plastica da giardino, recuperate dai miei. La televisione poggiava per terra, non avevamo un mobile perché il ridotto budget destinato all’arredamento era stato interamente assorbito da cucina e camera da letto. Eppure, non ci mancava niente. 

Oggi la casa è diversa: abbiamo tutti i mobili e un bel divano comodo. Siamo felici come allora, forse un po’ più consapevoli. Perché la felicità non cresce con le cose che si comprano, per quanto belle o costose possano essere. La felicità è fatta delle persone che hai scelto, del tempo passato insieme, di situazioni e di istanti in cui senti che tutto è perfettamente in equilibrio nonostante il casino che puoi avere intorno. 

È bello avere una fattoria.
Non è un luogo da rimpiangere, ma uno a cui tornare di tanto in tanto per riconciliarsi con se stessi. O forse, come per Ragnar, il luogo da cui una parte di noi non è mai andata via. Quella che conta.

Quella parte che, nonostante tutto, è rimasta fedele a se stessa.

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