Nella prima parte di questo articolo, ho ammesso che all’inizio del mio interessamento per il Rottweiler trascurai informazioni importanti quali il carattere e le motivazioni di questo cane, per concentrarmi su altri aspetti che avevano colpito di più la mia curiosità. È il genere di errore che fa di te l’esempio di cosa un aspirante proprietario non dovrebbe fare quando sta valutando di adottare un cane.
In tutti i libri che ho letto c’è sempre, infatti, un capitolo dedicato al tema dell’adozione consapevole e tutti gli autori concordano nell’affermare che la conoscenza della razza e del suo patrimonio motivazionale dovrebbe rivestire un’importanza fondamentale in questo processo. Luca Spennacchio, istruttore cinofilo e scrittore, a proposito delle razze ha scritto recentemente su Kodami che “È importante tenerne conto perché non differiscono solo per la taglia, il colore del mantello e la lunghezza delle orecchie. Le reali differenze non hanno a che fare con l’aspetto, con le caratteristiche estetiche – benché siano queste che per lo più orientano le scelte delle persone – ma con gli orientamenti cognitivi enfatizzati dalla selezione artificiale zootecnica.” Praticamente, quando ha scritto l’articolo stava pensando a me.
In seguito, rimediai a queste lacune ma la mia cultura cinofila, non potendo mettere radici nel terreno di una relazione con un cane in carne e ossa, era di fatto mero nozionismo. Il cane che adoravo era un’idea che esisteva solo nella mia testa, una descrizione su un cartonato, non un individuo con una propria emotività, capace di esprimere una gamma complessa di sentimenti, col quale andava costruita una relazione.



Quest’ultimo passaggio è importante, perché prima di portare a casa Kyra pensavo che la relazione e la fiducia reciproca fossero qualcosa di automatico, comportato dal semplice fatto di vivere insieme. Era una visione ingenua, sciocca persino, ora lo so, ma era così. Parecchio peso nel determinarla lo ebbe una certa retorica, alimentata dalla pubblicità e dai social, che fornisce del rapporto col cane una rappresentazione semplificata e idilliaca, spesso artificiosa e infarcita di luoghi comuni della quale, mio malgrado, ero caduto vittima. Su questo punto tornerò nell’ultimo articolo di questa serie, mentre riguardo alla relazione – e alla percezione che ne avevo – la verità mi fu improvvisamente chiara un giorno in cui la nostra educatrice, durante una sessione di lavoro – Kyra stava con noi da poco – mi disse che dovevo essere paziente perché Kyra non mi conosceva ancora.
Per la prima volta da quando stava con noi, vidi le cose per quelle che erano e capii che pretendere che quell’esserino insicuro e indifeso avesse trovato in me, da un giorno all’altro, un nuovo punto di riferimento dopo essere stato strappato alla sua famiglia, al luogo in qui era nata, alle sue abitudini, era quando di più sciocco ed egoista potessi chiederle. Le piacevo, questo s’intuiva, ma il punto è che era costretta a fare riferimento a me perché non aveva scelta: non c’era nessun altro. Io e Kyra eravamo una famiglia anagrafica ma la nostra famiglia affettiva si stava appena formando. Kyra – voglio dargliene atto – fu bravissima dal primo giorno, accettò la nostra compagnia da subito e da subito fu confidente e affettuosa. Dal canto nostro, noi cercammo sempre di farle sentire la nostra presenza senza essere invadenti, di lasciarle i suoi tempi e i suoi spazi, e iniziammo da subito un percorso educativo per aiutarla a superare le sue insicurezze. Tuttavia, eravamo solo all’inizio del nostro cammino.
Questa è un’altra parte importante della storia, alla quale intendo dedicare un articolo a parte ma alla quale accennerò per far capire che in nessuno dei ritagli che avevo collezionato c’era scritto che il cane dei tuoi sogni può avere delle difficoltà, delle insicurezze, delle paure per affrontare le quali è richiesto un impegno organizzativo, emotivo ed economico superiore a quello di comprargli le crocchette e portarlo fuori per le passeggiate. Sul mio cartonato c’era la rappresentazione del silenzioso e temibile guardiano della casa e della famiglia, affezionato e leale, devoto al padrone, non un cucciolo pieno di paure, che cercava come meglio poteva di stare al mondo e chiedeva, lei a me, di essere protetta.

Quel giorno capii che avevo una responsabilità nei suoi confronti: quella di tutelarla, di guidarla e di diventare per lei una base sicura. Da lì in avanti ci fummo solo io, Oreste, e Kyra il cane. Il mio cane, quello che avevo davanti, non quello ideale del cartonato. Buttai tutto quello che avevo accumulato negli anni, che non era servito a niente, tenni della descrizione quello che a mio giudizio doveva essere ricordato per evitare di incorrere nell’errore contrario di considerare Kyra prescindendo dalla sua natura e dalle sue motivazioni, e mi dedicai anima e corpo a lei.

FINE SECONDA PARTE
[segue nel prossimo articolo]

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